#Diario del Professore

Cara Susanna Tamaro, ma di che scuola stai parlando?

13 gennaio 2017
Cara Susanna, è bello che un'intellettuale di solito impegnata nella scrittura di romanzi e sceneggiature si occupi anche di qualcosa che non fa parte del suo campo. Davvero: denota curiosità, attenzione, e un parare autorevole da un “esterno” fa sempre bene. A patto però che si rispettino due semplici regole dell'argomentare: uno, che si conosca quello di cui si parla. Due, che si dica qualcosa di intelligente. Mi spiace, ma queste due regole non sono state rispettate dal Suo articolo uscito qualche giorno fa sul Corriere della Sera. Già: era da molto tempo che non leggevo in un unico testo così tanti luoghi comuni buttati lì alla rinfusa. A un certo punto mi aspettavo solo di leggere “Non c'è più la mezza stagione” e “Una volta qui era tutta campagna” perché tanto, “I giovani non son più quelli di una volta” è praticamente la sinossi del Suo brillante articolo. Sì, è vero, con la scuola abbiamo qualche problema. Ma che Lei parta da una trasmissione, “Il Collegio”, che tutto il Suo puntare il dito scaturisca dalla confusione di un'alunna fra la Puglia e le Marche, e soprattutto che Lei usi tutto ciò come fonte documentale autorevole per le Sue riflessioni, beh, è un po' come se un economista usasse le sue partite a Monopoly con la nonna per predire il futuro dell'Euro. Poi, con queste premesse, è ovvio che escano cose come è un disastro partorito da un sistema che, in nome del lassismo, della demagogia, del vivi e lascia vivere «tanto l’importante è il pezzo di carta», ha costantemente abbassato il livello delle pretese”. Lei, Signora Tamaro, parla ancora delle famose tre I del Ministro Gelmini, dimostrando a tutti che è ancora ferma al 2008. Ma il capolavoro Le è uscito verso la fine, quando dal cilindro ha tirato fuori questa apoteosi: "Dalle maestre chiamate per nome, ai professori ai quali si risponde con sboccata arroganza, al rifiuto di compiere qualsiasi sforzo, all’incapacità emotiva di reggere anche una minima sconfitta: tutto il nostro sistema educativo non è altro che una grande Caporetto." Ora la domanda è: ma di che scuola sta parlando? Ci è entrata in una scuola di recente? È davvero così? Le rispondo io: non è così. Sui nostri banchi ci sono giovani preparatissimi, rispettosi della figura dell'adulto e pieni di voglia di fare. E in ogni caso la maggioranza dei nostri studenti non corrisponde per niente alla Sua descrizione. È vero, sono d'accordo, che dovremmo alzare le pretese, che dovremmo far essere la nostra scuola un po' più difficile, ma tutto questo gridare al disastro educativo, come se avessimo sui nostri banchi una generazione di maleducati arroganti ignoranti, è segno di una superficialità di giudizio che davvero non mi aspetterei mai da un'intellettuale come Lei. Sì, siamo agli ultimi posti nelle graduatorie OCSE. Ma Lei banalmente cerca le cause nell'eccesso di informatizzazione e nel “vivi e lascia vivere”. No, le cause del momento difficile del nostro sistema educativo sono altrove, e sono fondamentalmente due: la prima, che siamo agli ultimissimi posti come investimenti sulla scuola, la seconda è che abbiamo uno dei corpi docenti più anziani del mondo. Continuare con questa polemica trita e ritrita dei bei tempi che non ci sono più è non solo sbagliato, ma anche dannoso. Bravi insegnanti, giovani, con la voglia di cambiare le cose, di crescere una generazione che sappia sia riconoscere Marche e Puglia che accogliere le sfide del mondo di domani ci sono, eccome. Basta dar loro fiducia, e soprattutto farli lavorare.
PAGA CON

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