#Diario del Professore

In difesa delle prove Invalsi

2 maggio 2016

Se tutto ciò che si fa a scuola dovesse assomigliare alle prove Invalsi, cambierei mestiere. Non so, magari il regolatore di baffi di qualche emiro arabo. Sarebbe un lavoro più divertente, di sicuro.

No, diciamolo per amore di chiarezza: una scuola fatta tutta a immagine delle prove Invalsi sarebbe peggio di un girone dantesco. E servirebbe fondamentalmente a forgiare generazioni di idioti che capiscono perfettamente il senso di un testo ma sono incapaci di interpretarlo in modo personale.

Infatti, ogni volta che il professore, il giornalista, l'esperto di turno se ne esce dicendo “Aboliamole!”, subito parte il coro di “Sì!”, “Sarebbe ora!”, “Basta!”.

Quello di cui pochi parlano è che le prove Invalsi sono appunto, solo delle prove. Arrivano una volta all'anno, oppure agli esami di terza. Non è che la valutazione dei ragazzi giri tutta intorno a quelle.

Tutti i professori e tutte le maestre di mia conoscenza, nel lavoro di tutti i giorni, giocano sempre sul doppio fronte: da un lato la comprensione del testo, dall'altra l'interpretazione personale. A volte ci si sbilancia più da una parte, a volte dall'altra: ma vi posso assicurare che quasi nessuno è un Invalsi ambulante, un insegnante che vive insegna e ragiona come un test Invalsi.

Anche perché credo che, nella scuola di oggi, se esistesse un prof così resisterebbe massimo un quarto d'ora. E poi se ne andrebbe a fare il regolatore di baffi di qualche emiro arabo.

Io lo dico sempre ai miei ragazzi: le Invalsi non dicono chi siete, non valutano voi come studenti, non danno un giudizio su quanto siete intelligenti. Più o meno sono come una fotografia, pure un po' sfocata e scattata da lontano: e da una fotografia così non si può proprio pensare di sapere tutto di voi. Anzi, è più facile che ci facciano fare un'idea sbagliata.

Le Invalsi hanno, però, una grande utilità: servono a metterti davanti un quadro complessivo. Tutte quelle fotografie messe insieme, infatti, ci restituiscono una bella panoramica di alcuni aspetti essenziali, come la capacità dei ragazzi italiani di comprendere un testo, di risolvere problemi logici e matematici.

Insomma: del singolo alunno non dicono quasi niente, ma dell'intera popolazione studentesca dicono moltissimo.

Non dimentichiamoci mai, per favore, che l'analfabetismo funzionale (la capacità di svolgere adeguatamente compiti fondamentali come riempire una domanda d'impiego, capire un contratto legalmente vincolante, seguire istruzioni scritte, leggere un articolo di giornale,  consultare un dizionario o comprendere l'orario di un autobus) è, in Italia, a livelli altissimi: occorrono strumenti per tenere monitorata la situazione e per agire di conseguenza.

Il posto da dove le toglierei, io, le Invalsi, è l'esame di terza media: lì secondo me fanno più danni che altro. Questo per il semplice fatto che la realtà della scuola media è talmente variegata ed eterogenea per cui uniformare una prova a livello nazionale significa svalutare scuole che hanno condizioni di partenza particolari (tipo la mia, dove la percentuale di stranieri è prossima al 70%). Non credo sia giusto che ragazzi che parlano italiano da un paio d'anni debbano essere valutati, con voto ufficiale che fa media in vista della valutazione di uscita, come i compagni madrelingua.

Credo sia discriminatorio, ecco.

Poi, per il resto, io credo sia giusto farle. Vedere i risultati complessivi, dare al voto un'importanza molto, molto relativa, ragionarci un po' su, e poi tornare a fare quello che a scuola facciamo sempre: leggere, capire, interpretare, e soprattutto cercare di raccontare il mondo con occhi nuovi.

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