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Racconto di una giovane malata di epilessia

31 maggio 2016

Sono senza lacrime, sono senza voce per urlare, sono una ragazza trascinata sotto la soglia della pudore. Io sono quella ragazza che soffre di epilessia, una malattia che colpisce 1 persona su 100 e che è stata immortalata dai telefonini di persone immorali e ripugnanti.

Erano mie amiche, me lo dicevano e io ci credevo. Io, una ragazza come tante, una ragazza normale, quindici anni, studentessa a Torino. Qualche volta ho delle crisi dovute all'epilessia ma se vengo assistita mi passano e torno a vivere come tutti quanti, come tutte le persone del mondo. Vi credevo amiche, credevo nella vostra empatia, nel vostro sapermi vedere con occhi che non conoscono cinismo, indifferenza, freddezza e disprezzo.

Io vi credevo amiche.

Riaprendo però gli occhi dal mio orribile viaggio dovuto all'epilessia ho saputo che mi avete ucciso. Non fisicamente ma nell’anima. Io che ero stata affidata a voi per assistermi se mi sentivo male.

Care amiche, mi avete deriso per l'epilessia, mi avete immortalato con i vostri cellulari mentre sbavavo o mi mordevo la lingua, mi avete paragonata alla figlia di Fantozzi. Sapete, anche io, ma forse voi questo non pensavate fosse possibile, ho le mie passioni, le mie emozioni: rido, piango, sogno, sento il calore e la forza, la disperazione e la nostalgia.

In realtà io non sono come voi, io ho qualcosa in più. Amo la mia vita perché è unica e irripetibile, incomparabile ed eccezionale, a volte particolare per l'epilessia ma rara. Vi siete fatte i selfie con i miei momenti, con i miei attimi, con quei minuti che diventano lampi di differenza tra la mia vita e la vostra malvagità. Vi hanno dato tre giorni di sospensione per svolgere volontariato e con questo vi sentirete con la coscienza pulita.  Ma adesso mi chiedo: cosa spetta a me? Penso ai vostri genitori, alle vostre scenette natalizie da famiglia pubblicitaria, ai vostri sorrisi con i nonni e le zie orgogliose di cotanta baldanza. Penso al vuoto educativo e sentimentale in cui siete state cresciute.

La società sa solo puntare il dito sugli insegnanti colpevoli di non aver saputo sorvegliare, di non aver saputo riconoscere occhi che amano la meschinità. L’emergenza educativa è a livelli altissimi e allarmanti, ma i dirigenti sanno solo accontentare genitori pronti a tutto per difendere l’indifendibile, vogliono valutare gli insegnanti su progetti che non riguardano il rispetto degli uomini. Per loro l’educazione è il rispetto delle regole. Non si rendono conto che le famiglie sono assenti.

I vostri genitori non hanno capito che fare i figli è procreazione, educarli e crescerli è creazione.

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