Nei Paesi civili e culturalmente avanzati, le linee guida di ogni azione e gesto sono, o vogliono essere, l'osservanza dei diritti e il rispetto delle libertà dell'individuo, senza esclusione, giustamente, della scelta di criticare. In Italia, invece, la facoltà di esprimersi liberamente è riconosciuta solo quando ciò che effettivamente si afferma piace alla maggioranza.
Se ne è accorta (o ne ha avuto la conferma, se già lo pensava) una studentessa di Adria (RO), la quale ha avuto il coraggio (o la follia) di accusare l'immigrazione, proprio in occasione dell'assemblea scolastica con un esponente della Caritas, sul tema dell'integrazione. Le sue parole, che, siamo d'accordo, potevano essere soppesate meglio, si possono riportare così: "Gli immigrati fanno morire di fame chi è nato in Italia: lavorando per un tozzo di pane riducono sul lastrico i lavoratori italiani!".
Inutile quantificare il livello di indignazione che ha colpito i professori, dopo aver assistito alla difesa delle proprie convinzioni da parte della giovane. In effetti, al termine dell'assemblea e ad acque calme, è stata ratificata alla ragazza la sospensione dalle lezioni con accusa di razzismo e xenofobia. Lo scalpore animato da questo provvedimento ha però fatto ridimensionare la "pena", la quale è stata ridotta ad una comune e più silenziosa nota sul registro, motivata, questa volta, dal fatto che la studentessa, straripante di energia durante la bellicosa oratoria, avesse strappato il microfono e poi abbandonato l'aula.
Libertà di espressione (e di critica) concessa con molta amarezza, alla fine. Voi cosa ne pensate? Tralasciando l'atteggiamento della studentessa, magari poco educato, è giusto punire qualcuno per essersi espresso secondo le proprie convinzioni, anche se contrarie ai principi di chi si giudica come "benpensante"? Commentate qui sotto o scriveteci a infostudenti@scuolazoo.it!
Riccardo Gemma
