#Maturità

#Maturità 2015 Tipologia C RISOLTA: Tema di Argomento Storico

17 giugno 2015

RISOLUZIONE DEL TEMA DI ARGOMENTO STORICO

Traccia di Italiano svolta dai Tutor di Docsity collaborazione (1)

TEMA STORICO - La resistenza

Storicamente con l’espressione Resistenza, quando si parla dell’Italia, si indica quel fenomeno di opposizione politica ed anche militare svolta dai partigiani contro l’occupazione nazifascista dell’Italia sul finire della Seconda Guerra Mondiale, tra il 1943 ed il 1945.

Volendone tracciare un breve profilo storico bisogna affermare che le forze partigiane non possono definirsi una compagine ordinata né tantomeno un esercito regolare, sebbene vi fossero gruppi più organizzati come le Brigate Garibaldi, Matteotti e quella del Popolo. L’insieme dei partigiani, nel 1943 contava a malapena 3500 uomini, di cui quasi la metà stanziati solo in Piemonte. La resistenza partigiana doveva inoltre continuamente difendersi dalle spedizioni punitive, dalle cruente repressioni e dall’inasprimento di queste ultime dalla parte nazifascista e tuttavia, contro ogni previsione, negli anni immediatamente successivi, i combattenti aumentarono sino a raggiungere ventimila unità. Così i partigiani, con immenso spirito di sacrificio combatterono sino alla completa denazificazione e defascistizzazione dell’Italia e i loro tributo, spesso pagato col sangue, è diventato la nostra guida nell’inchiostro con cui è stata scritta la Costituzione.

È importante soffermarsi sul significato della Resistenza, un significato che è certamente gravido di significati più ampi rispetto alla sequela di avvenimenti storici in cui essa si riassume solitamente sui manuali.

Un modo proficuo per procedere in questa analisi è quello di evidenziare la stretta continuità tra processo risorgimentale e resistenza. Questa connessione non è storiograficamente una novità, tanto è che spesso si vede nella Resistenza un secondo Risorgimento. Tale accostamento non è affatto improprio. Se da un lato l’Italia aveva conobbe la sua unificazione ufficiale nel 1861, la sua unificazione effettiva viene compiuta con la resistenza. Non era infatti unita l’Italia fascista, l’Italia nella quale le opposizioni al Duce non avevano cittadinanza ma venivano bastonante, non era unita l’Italia che votò le leggi razziali, non era unito lo spirito degli Italiani, sebbene cosi poteva posticciamente apparire sotto l’egida del mal riposto nazionalismo fascista, mal riposto poiché gli Italiani non erano ancora una nazione, mal riposto nelle sue pretese arroganti.

Che il Risorgimento non fosse che una prima tappa della formazione della nazione italiana non deve stupire in alcuna misura: ogni fenomeno storico complesso, come la formazione dell’identità di una nazione in questo caso, abbisogna di differenti fasi e che, soprattutto, quelle idee che dapprima si trovano nelle menti più illuminate si facciano spazio anche nel sentire comune. Nella nostra storia è stata l’antitesi dialettica e orribile del fascismo e della Seconda Guerra mondiale a fare da ponte tra un’Italia monarchica e l’attuale ordinamento repubblicano, sancito nella Costituzione, egida dei valori e scudo dei cittadini. La definizione dell’identità della nostra nazione è passata dunque per l’eroico sacrificio di tanti uomini e donne, in grande parte giovani che, non curanti del pericolo, hanno contribuito in maniera determinante alla liberazione, suggellata dalla data del 25 aprile.

Se rileggiamo con attenzione le parole dell’ufficiale che ha pagato con la morte le sue eroiche scelte ci rendiamo tuttavia conto che esse trascendono, con potenza, il tempo storico che egli visse. Rileggendole con attenzione si colgono concetti e principi che sono applicabili anche al nostro presente vivo e dinamico e non solo ad un passato oramai cristallizzato: “Ci auguriamo di vedere l’Italia potente e senza minaccia, ricca senza corruttela, primeggiante […] nelle scienze e nelle arti, in ogni operosità civile, sicura e feconda di ogni bene nella sua vita nazionale rinnovellata.”

Chiunque legga questo passo non può fare astrazione della sua possente attualità. Il teatro nazionale del presente mostra, al contrario, un impoverimento generale e diffuso per la stragrande maggioranza della popolazione, il senso di precariato, occupazionale ed esistenziale, la decrescita demografica, una corruzione diffusa e dilagante, sintomo dell’egoismo della minoranza ricca e potente, il severo ridimensionamento non solo dei finanziamenti per la ricerca ma anche della più basilare manutenzione per gli istituti scolastici primari, un’etica del lavoro quantomeno discutibile, in particolar modo nel settore pubblico. Queste sono solo alcune delle numerose e virulente ombre del presente che si stagliano sulla prospettiva del nostro futuro. Non vi è la necessità di alcun approfondimento per affermare che, ad oggi, questa non è l’Italia che vogliamo, non è il degno lascito dei grandi uomini e delle grandi donne che hanno contribuito alla costruzione del nostro Paese, non è il loro progetto, né la prospettiva che qualcuno sceglierebbe per sé e per la sua discendenza.

Ci riscopriamo, quindi, noi stessi dei moderni partigiani. Ci riscopriamo noi stessi combattenti per la libertà. A noi, giovani in particolare, la Storia ha affidato un compito che non sarà portato a termine con le armi, ma che parimenti richiede dedizione, valori etici e passione civile. Chi rimprovera alla nostra generazione l’assenza di un ruolo storico manca di riflettere sulla necessità del cambiamento, crede che la storia si sia fermata agli ultimi decenni del Novecento. Sarà compito di questa generazione, se vuole eguagliare quella dei nostri nonni partigiani, quello di risollevare l’Italia dalla e sue condizioni, quello di portarla sulla strada del progresso economico, scientifico, ma anche e soprattutto morale e civico, facendo sì che quelle potenzialità di cui il nostro Paese è spesso incosciente custode, vengano espresse in tutta la loro immensa forza. Potremmo dunque dire che il Risorgimento non si è mai, veramente, concluso. Se le sue tappe fondamentali risalgono alla metà dell’Ottocento e, nella declinazione partigiana, agli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale fino al varo della Costituzione della Repubblica, dobbiamo aspettarci una terza tappa che non solo unifichi la nazione attraverso la lingua o il senso di appartenenza, ma che la unifichi mediante sotto il vessillo dei valori civici e morali.

Ancora una volta le parole dell’ufficiale della resistenza risuonano, e lo fanno con la forza di coloro i quali si schierano dalla parte giusta della storia:

Le nuove generazioni dovranno provare per l’Italia il sentimento che i nostri grandi del risorgimento avrebbero voluto rimanesse ignoto a noi nell’avvenire: <il sentimento dell’amore doloroso, appassionato e geloso con cui si ama una patria caduta schiava, che oramai più non esiste fuorché nel culto del cuore e in un’invincibile speranza.>”

Ciò che possiamo dunque imparare dalla storia della Resistenza, travalicando gli spazi angusti di un manuale scolastico, è che quell’invincibile speranza va di volta in volta incarnata, rivivificata, tante volte quante la storia lo richiede, tante quante i nostri ideali ce lo imporranno con una forza irresistibile.

Lo spirito della Resistenza potrebbe dunque dirsi almeno questo in ultima analisi.

Vito Fabrizio B.

Traccia di Italiano svolta dai Tutor di Docsity collaborazione (1)

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