#Maturità

2°Prova maturità: Psicologia generale 2015 - Istituto Socio-Sanitario

17 giugno 2015
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PRIMA PARTE

Il concetto di dipendenza è spesso generalizzato nell’ambito del senso comune. Nella società odierna, la rappresentazione sociale della dipendenza ha assunto un’accezione quasi sempre negativa, per via dell’associazione del termine con situazioni patologiche di tipo fisico o psicologico che tendono a degenerare con il trascorrere del tempo.

In realtà, è necessario ricordare che il concetto non nasce con un’accezione prevalentemente negativa, ma può assumere svariate sfumature, come si evince dalla descrizione stessa del termine riportata nel Dizionario Internazionale di Psicoterapia. Il termine dipendenza indica una condizione in cui un determinato soggetto è coinvolto in una forma di comportamento che si basa sul bisogno psicologico o fisiologico dell’altro. In questo caso, anche la stessa definizione di altro può assumere diversi significati in base al caso specifico: il termine può essere riferito a una persona, come nel caso di un infante che dipende dalla propria madre, ma può essere anche riferito, in alcuni casi, a un oggetto o a una sostanza, come nel caso delle più famose dipendenze da alcool, droghe e simili.

Il rapporto di dipendenza che si crea, per esempio, tra un bambino e la propria madre nei primi anni dell’infanzia non nasce con un’accezione negativa: il bambino ha bisogno della madre, da questa dipende per nutrirsi e per svolgere la maggior parte delle sue funzioni vitali, poiché da solo non ne sarebbe in grado. È un rapporto che si basa sulla fiducia che il bambino ripone nel caregiver da cui dipende totalmente ed è una dipendenza che andrà lentamente dissolvendosi con la crescita. Generalmente, durante i primi anni di vita, il bambino stabilisce con il caregiver un legame affettivo saldo e indissolubile. Solo nel caso in cui il bambino dovesse sviluppare un attaccamento eccessivo nei confronti della madre, che si protragga oltre l’età in cui dovrebbe cominciare a reclamare la propria indipendenza, e il legame affettivo si trasformasse in una vera e propria dipendenza affettiva potremmo parlare di dipendenza di tipo patologico e il termine assumerebbe anche in questo caso un’accezione prevalentemente negativa. È d’obbligo precisare, però, che anche la dipendenza affettiva non è da considerarsi prettamente negativa: volente o nolente, nessun individuo è mai completamente indipendente. L’indipendenza vera e propria è un concetto abbastanza astratto e inattuabile in psicologia, poiché ogni individuo nella propria vita ha bisogno di stabilire dei legami di dipendenza affettiva con l’altro: la necessità di sentirsi compresi e amati dall’altro è parte integrante della natura umana. Per questo motivo è bene ricordare che per dipendenza affettiva patologica si intende un comportamento rigido e quasi ossessivo nel rapporto con l’altro, caratterizzato da una perenne sensazione di mancanza che il soggetto avverte ogni qualvolta l’altro si allontana e da una completa inconsapevolezza dei propri bisogni, che il soggetto dipendente mette da parte per dedicarsi a soddisfare esclusivamente i bisogni dell’altro. In questo caso, il termine assume connotati assolutamente negativi, poiché in molti casi questo tipo di dipendenza induce addirittura il soggetto ad annullarsi, come descritto nella teoria dell’annullamento vicendevole della GESTALT.

Un altro importante esempio di dipendenza con accezione negativa che affligge la società in cui viviamo e di cui si sente sempre più spesso parlare è la dipendenza patologica dal cibo, alla base dei disturbi del comportamento alimentare. Questo tipo di dipendenza, purtroppo, è spesso sottovalutata, poiché si tende ad attribuirne la causa a uno stato emotivo passeggero del soggetto. In realtà, in questo caso la dipendenza indica un comportamento rigido e ossessivo nei confronti dell’oggetto in questione, che può evolversi tanto in un rifiuto quanto in un attaccamento compulsivo all’oggetto, che diviene il fulcro di ogni pensiero del soggetto, determinandone cambiamenti d’umore e di atteggiamento e influenzando in tutto e per tutto la sua vita quotidiana. In questo caso la dipendenza è di tipo psico-patologico.

Diverso è invece il caso in cui si parli di tossicodipendenza. La dipendenza da droghe, così come la dipendenza da sostanze alcoliche e simili, attraversa la sfera psicologica, ma si spinge oltre poiché in questi casi subentra nel soggetto un vero e proprio bisogno fisiologico. Psicologiche sono senz’altro le cause primarie che inducono un soggetto ad avvicinarsi alle sostanze che provocano dipendenza, ma la questione si complica nel momento in cui è l’organismo stesso ad avvertire la necessità di continuare ad assumere tali sostanze. In questo caso, parliamo di dipendenza tanto psicologica quanto fisiologica.

Non si può parlare, inoltre, di dipendenza senza tenere conto delle “nuove dipendenze” che affliggono la società moderna, figlie soprattutto di un malessere interiore di cui non siamo abituati a prenderci cura. Tra le cosiddette nuove dipendenze, mi preme trattare principalmente tutti quei casi patologici che sfociano spesso in violenza e aggressività nei confronti del proprio partner. I mass media ci bombardano ormai con casi di violenza domestica o coniugale che sembrano diffondersi a macchia d’olio, come una brutta epidemia, nella società in cui viviamo. In molti casi, tanta aggressività è da attribuirsi a casi di dipendenza affettiva patologica nei confronti del partner, che diventa il centro di ogni attenzione e di ogni pensiero del soggetto. In questi casi, il soggetto sviluppa una dipendenza ossessiva nei confronti del proprio partner e, con il passare del tempo, i suoi bisogni non riescono a essere appagati neanche dalla costante presenza dell’altro. Nel momento in cui il soggetto dipendente si rende conto che la propria dipendenza non può essere appagata dal comportamento del partner, la situazione degenera fino a evolversi nei sopra citati casi di violenza.

Per questo motivo, per poter arginare alcuni dei problemi che opprimono la nostra società, sarebbe necessario imparare a comprendere a fondo il concetto di dipendenza, per riuscire a riconoscere e trattare i casi patologici nel modo giusto, prima che le situazioni degenerino in condizioni irreversibili.

SECONDA PARTE

SECONDA PARTE

1. Quali sono le principali dipendenze patologiche e in che cosa consistono?

Per dipendenza patologica si intende ogni tipo di dipendenza che generi un comportamento rigido e ossessivo nei confronti dell’altro. Tra le principali forme di dipendenza possiamo ricordare:

-la dipendenza affettiva, che porta il soggetto a stabilire un rapporto ossessivo con l’oggetto del suo affetto, sia esso il partner, la famiglia, o simili;

-la dipendenza da sostanze, che induce nel soggetto il bisogno ossessivo di ricorrere all’uso di sostanze che possano alleviare il suo stato mentale o emotivo (in questa classe rientra anche la dipendenza farmacologica);

-la dipendenza dal cibo, che porta il soggetto a sviluppare un comportamento di tipo ossessivo nei confronti del cibo e può essere causa di disturbi alimentari;

-la dipendenza da comportamento, che induce il soggetto a ripetere un comportamento in modo ossessivo, è il caso della dipendenza da shopping, da gioco, o da internet.

2. In che cosa si concretizzano i servizi prestati ai soggetti affetti da dipendenze patologiche e quali sono le figure professionali cui tali prestazioni competono?

Esistono diversi servizi che si occupano di offrire supporto ai soggetti affetti da dipendenza patologica. La tipologia dei servizi offerti può variare in base al tipo di dipendenza. Nel caso delle dipendenze da sostanze (quali droghe, alcool, e simili), per esempio, è possibile ricorrere a gruppi di supporto e comunità nate proprio per trattare questo tipi di disturbi. In tal caso, i soggetti saranno assistiti da psicologi di comunità e psicoterapeuti, che potranno supportarli nel loro percorso di guarigione. Nel caso delle dipendenze affettive, invece, il soggetto può ricorrere all’aiuto di uno psicoterapeuta, che potrà supportarlo durante il suo percorso di guarigione, fornendo tutto l’aiuto necessario per comprendere il disturbo e imparare a recuperare la propria indipendenza.

3. Che cosa si intende per educazione alla salute e come essa si attua in concreto?

Per educazione alla salute si intende l’attuazione di esperienze di apprendimento che abbiano lo scopo di diffondere una maggiore comprensione del concetto di salute e di indurre i soggetti ad assumere un comportamento che possa favorire la prevenzione consapevole della malattia e la conservazione di una condizione di salute in ambito tanto fisico quanto psicologico. Per poter mettere in atto un vero e proprio processo di educazione alla salute è necessario prima di tutto ampliare le possibilità di comunicazione tra medico e paziente. Spesso si incontrano pazienti mal predisposti nei confronti del medico che tendono, di conseguenza, a non seguirne i consigli. Rendere più semplice il processo di comunicazione tra il medico e il paziente è il primo passo da compiere per attuare un processo di educazione alla salute per la promozione del benessere. Nel processo comunicativo è necessario tenere in considerazione la credibilità e l’attrattiva della fonte da cui provengono le informazioni. Per questo motivo, sarebbe necessario ri-educare anche i medici al rapporto con il paziente, ricordando loro l’importanza della disponibilità e del modo di porsi nel rapporto con l’altro. L’informazione svolge un ruolo di fondamentale importanza nel processo educativo: soggetti più informati sono soggetti sicuramente più consapevoli. Un esempio dei vari modi in cui si potrebbe mettere in atto questa campagna di informazione si potrebbe partire dall’informazione in ambito scolastico, introducendo progetti atti a sensibilizzare le nuove generazioni al tema della salute.

Martina M.

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