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#Maturità2016: Prima Prova. Svolgimento Tema di Attualità

13 giugno 2016
logo ScuolaZoo DocSity Bottone Soluzione Tema di Attualità: ecco qualche suggerimento utile per affrontare la prima prova della Maturità 2016

Confine, letteralmente cum-finis, è ciò che separa e allo stesso tempo unisce due realtà contigue che hanno in comune una linea che le divide. Il termine porta con sé anche il concetto di limite e di frontiera. Dalla storia greca fino ad arrivare alla storia a noi contemporanea, i confini non hanno regolamentato la vita dei popoli ma hanno generato lo stimolo ad oltrepassarli. Varcare il confine è semplice desiderio di conoscenza: si pensi ad Odisseo, protagonista di una delle prime grandi opere che la letteratura ricordi, colui che ha sfidato i pericoli della natura pur di «seguire virtute e canoscenza» (Dante, Inferno, canto XXVI), che si è spinto verso l’ignoto e l’inconoscibile pagando per questo suo «folle volo» (Dante, Inferno, canto XXVI) con dieci anni di peripezie e con la perdita di tutti i suoi compagni; si pensi a Cristoforo Colombo, il primo europeo ad aver visto e toccato le sponde del Nuovo Continente, sebbene sia morto nella convinzione di aver scoperto le Indie, seguendo le orme del viaggiatore per eccellenza, Marco Polo. Varcare il confine è segnale di attacco: si pensi a Cesare che attraversando il Rubicone scatena nientemeno che una guerra civile; si pensi all’arrivo delle popolazioni dell’est (vandali, visigoti, ostrogoti) che varcano il limes posto dall’imperatore Adriano lungo il confine renano-danubiano e attaccano l’impero romano portandolo alla graduale disgregazione. Varcare il confine è desiderio di conquista: si pensi ai conquistadores portoghesi e spagnoli del ‘500 e alle loro imprese transoceaniche finanziate per assoggettare ciò che stava al di là dell’immensa distesa di acqua. Varcare il confine è stato ed è tuttora un modo per sfuggire alla guerra o alla miseria, sperando di trovare al di là della linea una realtà migliore. L’Italia è tra i paesi europei più interessati dalla migrazione, sia come immigrazione che come emigrazione. È importante guardare al problema non in senso unidirezionale: gli italiani che oggi accolgono sono gli stessi italiani che in passato sono stati accolti da altri Paesi. Così come gli emigrati italiani contribuirono (e contribuiscono) con il loro lavoro al benessere dei paesi di insediamento, così gli immigrati in Italia contribuiscono al benessere economico e sociale nel nostro paese. La presenza di lavoratori immigrati si è consolidata soprattutto nelle regioni del Nord e del Centro del paese tanto che istituzioni quali la Banca d’Italia sottolineano il loro contributo fondamentale alla nostra economia. Certamente esistono ancora delle discriminazioni esplicite o implicite nei loro confronti: quelli che sono stati licenziati per effetto delle crisi in corso si trovano, da disoccupati, in condizioni di reddito e di esistenza ben peggiori di quelle degli italiani. Oltre che alle necessità dell’economia, il lavoro degli  immigrati viene incontro alle esigenze della società. Le lavoratrici addette alla cura degli anziani (le cosiddette badanti) svolgono un ruolo sempre più importante nelle famiglie italiane. La richiesta di lavoro di cura, alla quale si dedicano, è dovuta a diversi fattori a cominciare dall’invecchiamento della popolazione e dalla riduzione delle dimensioni delle famiglie e a finire con le carenze del sistema italiano di welfare in questo campo. A ciò va aggiunta la ricchezza rappresentata dagli elementi di diversità culturale portata dagli immigrati, così come gli emigranti italiani l’hanno portata nei loro paesi di destinazione. Pertanto, la storia delle Grandi emigrazioni italiane nei paesi transoceanici seguite ai periodi postbellici, unita alla realtà dei fatti appena descritta, non devono essere dimenticate ora che l’Italia è diventata la meta degli sbarchi extracomunitari. Noi siamo stati e siamo tutt’ora (basti pensare alle migliaia di giovani che lasciano l’Italia sperando di realizzare i propri sogni all’estero) gli altri, i diversi, gli stranieri per le Americhe, l’Australia, l’Inghilterra etc. e siamo stati bravi a cercare l’integrazione e la comprensione da parte dei Paesi che hanno aperto e aprono a noi le loro frontiere. Perché allora non siamo mai altrettanto bravi a stare dall’altra parte? Forme di xenofobia supportate da profonda ignoranza dominano, purtroppo, nel nostro paese che ha grandi colpe relativamente a questi pregiudizi. Infatti, sottovalutando le prime ondate migratorie, l’Italia ha gestito male l’accoglienza, tanto da non riuscire più a tenere sotto controllo i numeri dei migranti, gran parte clandestini, fomentando, anche attraverso immagini distorte passate dai mass-media, paure e preoccupazioni nella popolazione. Qui si inserisce bene il concetto di frontiera, cioè di confine di un’entità statale. Questa non deve essere una barriera, un muro con filo spinato che impedisca il passaggio; deve essere la porta sempre aperta ma custodita in modo da riuscire a gestire ed identificare chi la attraversa. E sia chiaro che il controllo deve essere effettuato per chiunque la varchi, senza differenza di età, lingua o paese di appartenenza perché quando si è sulla linea di confine non si è più italiani, o tedeschi o americani ma si è cittadini del mondo. L’ambiguità del termine confine, infatti, che è racchiusa già nel suo etimo, è dovuta proprio alla sua artificiosità e convenzionalità. Il confine, il limite, la frontiera non sono che barriere mentali create per regolare, attribuire e sottrarre proprietà, dominare. A meno che non si tratti di grandi ostacoli naturali, infatti, i confini sono tracciati arbitrariamente dall’uomo stesso: è sempre stato lui a decidere dove dividere, dove unire e chi considerare ξένος, barbarus, straniero.

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