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Femminicidio: cosa significa, perché è usato e riflessioni contro la violenza sulle donne

16 novembre 2018

Violenza sulle donne: cosa significa la parola femminicidio?

Il problema del femminicidio è tristemente diventato una problematica sempre più forte e sentita anche in Italia. Con il termine in questione si intende l’omicidio volontario di una donna per motivi legati al suo genere. In generale il femminicidio indica tutti gli episodi di violenza che hanno come vittima una donna che hanno lo specifico scopo di esercitare un assoggettamento fisico o psicologico su di lei. Per tentare di arginare il numero di omicidi nel 2009 è stato introdotto, nel codice penale, il reato di stalking, mentre nel 2013 sono state emanate alcune norme che aggravano le pene per le forme di persecuzioni fisiche o morali perseguite verso una donna. Cerchiamo di capire insieme qualcosa in più su questo terribile fenomeno in vista della Giornata contro la violenza sulle donne che si tiene il 25 novembre. Qua trovate le frasi e gli eventi per la Giornata contro la violenza sulle donne 2018: Femminicidio

Femminicidio e non omicidio: perché si usa questo termine?

Perché si parla di femminicidio e non di semplice omicidio? Perché non si parla mai di "maschicidio"? Se vi state ponendo questa domanda la risposta è molto semplice. Il femminicidio non indica semplicemente l'omicidio di una donna, ma si riferisce al motivo per cui una donna viene uccisa, cioè la non accettazione da parte del marito, fidanzato, ex, fratello, padre (o persone vicine alla vittima) della libertà della donna, della sua decisione di rendersi indipendente o lasciare il partner. Per fare un esempio pratico: se una donna viene uccisa durante un attentato terroristico o una rapina, non si parla di femminicidio ma di omicidio. Se l'ex marito uccide la moglie perché lei aveva deciso di lasciarlo e lui non accetta la separazione, in questo caso si parla di femminicidio. Gli scenari di queste tristi vicende sono, infatti, spesso le mura domestiche o i contesti familiari. La prima volta in cui venne utilizzato questo termine fu il 1801 in un libro satirico pubblicato in Inghilterra per indicare genericamente "l’uccisione di una donna come la condotta di un uomo che induce una donna a perdere la propria illibatezza".  Il termine in questione ha avuto un fortissimo utilizzo negli ultimi anni proprio a causa del crescente numero di vittime femminili di omicidio per ragioni culturali che hanno fatto allarmare l'opinione pubblica e hanno portato le autorità e il legislatore a emettere un numero maggiore di provvedimenti per arginare questo tipo di crimini. Perché non si parla quindi di maschicidio? Non perché l'omicidio di un uomo per motivi di possesso/gelosia etc sia meno importante, ma perché non ci sono numeri statistici tali da poter parlare di un fenomeno purtroppo esteso come quello del femminicidio.

Riflessioni contro la violenza sulle donne e il femminicidio

Il 25 novembre 2018 in Italia si manifesterà proprio contro i fenomeni di violenza contro le donne: questo dimostra come la lotta contro tale fenomeno debba essere perseguita e portata avanti ancora massivamente. Una piccola rivoluzione è già intervenuta con l'introduzione dell'articolo del codice penale che punisce lo stalking e che prevede la punibilità di tutte quelle condotte che causano nella vittima designata uno stato di "ansia, paura, timore" fondato sul concreto timore "per la propria incolumità o quella di un prossimo congiunto". Tale stato di ansia e di timore può portare a sviluppare delle vere e proprie patologie e a modificare il proprio stile di vita nella speranza di non imbattersi nel proprio persecutore. Pur alla luce della generale riforma legislativa adottata in questi anni contro gli episodi di violenza, il fenomeno non sembra arrestarsi. I dati, infatti, parlano chiaro: secondo il rapporto Eures, nei primi 10 mesi dello scorso anno le donne uccise nel nostro Paese sono state 114, pari ad una vittima ogni due giorni e mezzo, mentre 2016 le vittime sono state 150, il 37,1% del totale degli omicidi, la percentuale più alta in Italia dal 2000. Nel 90% dei casi l'autore è una persona legata alla vittima da un rapporto di convivenza o ex convivenza. Anche questo è un elemento di spunto e riflessione: come mai sono proprio i mariti - compagni o fidanzati - gli autori delle stragi? Questo è riconducibile, nella maggior parte dei casi, alla mancata accettazione della fine della relazione, dall'estrema gelosia o da un senso di potere sulla propria donna, che non si considera come un individuo autonomo ma come un "oggetto" che appartiene all'uomo e che solo lui può controllare. È molto importante che, chiunque abbia il sentore di essere vittima di atti di violenza o di mera persecuzione da parte di uomini, denunci il fenomeno alle autorità competenti in modo tale da essere sottoposta a corrette misure di sicurezza da eventuali aggressioni. Se volete degli spunti per scrivere un tema sulla violenza sulle donne, trovate qui le tracce svolte da ScuolaZoo: (Foto Credits: Pixabay)
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