#Diario del Professore

Lettera di un professore ai suoi alunni: "Non state in panchina a guardare"

24 settembre 2015
Eccoti lì. La faccia assonnata. Tre mesi sveglio alle undici e ora quelle occhiaie lì. I professori da dietro la cattedra. I compagni che ridono, il casino. Torni a casa con la faccia stravolta, ed è solo la prima settimana di scuola. Giugno che sembra lontano anni luce. Dico a te. Sì proprio a te. A te che hai quattordici anni. O sedici. O diciotto. Che non hai idea di cosa farai oggi pomeriggio, e il mondo che ti chiede che cosa vuoi fare da grande. Che riesci solo a pensare a perché lei non ti risponde ai messaggi, o perché lui non ti caga neanche per sbaglio, e intanto tutti che ti chiedono di iniziare a pensare alle cose serie. Le cose serie. Lo sapessero, almeno, cosa sono le cose serie. Tu sì che lo sai, che le cose serie sono proprio quelle. E ti svelo un segreto: un giorno, niente sarà più così serio come sono serie le tue cazzate di adolescente. Però una cosa te la voglio dire. Oggi che è la prima settimana di scuola, una te la voglio dire. Quelli della mia età hanno trenta, quarant’anni. Esco con loro, a volte, ci bevo una birra, rido, scherzo, li guardo: e sai cosa vedo quando li guardo, quasi sempre? Vedo gli occhi di qualcuno che non se l’è mai fatta, mai per davvero, quella domanda. Sì, quella domanda. Quella lì. “Io, cosa voglio essere?”. E sai che faccia è, la faccia di chi non si è mai fatto quella domanda? Non è né triste né felice, né bella né brutta: è semplicemente una faccia uguale a tutte le altre. Una faccia che non dice, non racconta niente. Quella domanda. Prima non te la fai perché dici: è presto, per farsi certe domande. E poi non te la fai perché dici: ormai è tardi, per farsi certe domande. E poi arriva un giorno che sei lì, dentro un ufficio, o in catena di montaggio, o a berti lo spriz con gli amici, e quello lì non sei davvero tu. Ecco, che cosa ti volevo dire, in questi primi giorni di scuola. Comincia subito, a cercare di rispondere a quella domanda. Non zittirla, non far finta di non sentirla. Poi puoi anche sbagliare risposta. O la risposta può cambiare. Puoi provarci e sbagliare, provarci e sbagliare, perché sei al primo minuto di una partita di novanta. Più i supplementari. Puoi fare quello che vuoi, giocare bene, giocare male, ma per favore non stare in panchina a guardare. Non devi decidere oggi che cosa essere fra vent’anni. Ma devi decidere, oggi, adesso, se vuoi essere qualcuno, o se vuoi accorgerti un giorno di essere qualcuno che non sei tu.
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