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Maturità2016: Prima Prova. Svolgimento Articolo di Giornale (STORICO POLITICO)

22 giugno 2016
Per la Prima Prova Maturità avete scelto l'articolo di giornale? Bellissima idea. Ecco uno svolgimento di un articolo giornale della Maturità 2016. Siete maturandi di quest’anno? Allora state di certo cercando dritte per la Prima Prova della Maturità 2017. Le trovate qui: Maturità 2017 Prima Prova: Guida Articolo di Giornale logo ScuolaZoo DocSity   Articolo di Giornale: ecco per voi qualche suggerimento utile per lo svolgimento della prima prova della Maturità 2016! Bottone Soluzione

AMBITO STORICO POLITICO

Titolo: Il Paesaggio culturale italiano: tra oblio e riscoperta Destinazione: mensile di approfondimento

Sebbene la nostra sia una Nazione giovane - nata ovvero in seguito alle vicissitudini dell’Unità d’Italia e risorta poi dalla ceneri del fascismo e della guerra - il suo territorio è il palcoscenico di una storia millenaria, una grande storia che racconta attraverso le sue piaghe ed i suoi splendori tutto quello che è stato dagli albori ai nostri giorni.

L’Italia è un crogiuolo di storie e tradizioni, una miscela formidabile di culture e di espressioni, è il frutto della commistione con gli arabi, il sapore filosofeggiante delle colonie magno-greche, è borbonica e bizantina, è (per dire una) il Rinascimento. L’Italia è il luogo dal quale si è irradiato il più grande e longevo Impero di sempre, che segna tuttora con le sue mura, le sue sculture e le sue vestigia non solo la Città Eterna, ma gran parte del territorio nazionale e d’oltralpe.

Un paesaggio, qualunque paesaggio, è un quadro in movimento, un continuo mutare di profili e rilievi, soggetto all’erosione naturale così come al degrado talvolta criminale prodotto dall’uomo. E’ anche qualcosa di intangibile, un’atmosfera spesso facile da cogliere ma difficile da descrivere fatta di impressioni, rumori, odori e sapori. Tuttavia, un paesaggio non è solo il prodotto delle modifiche umane, anzi esiste da prima e con ogni probabilità esisterà anche dopo l’uomo.

 I paesaggi italiani in particolare si caratterizzano per la loro straordinaria, struggente e variegata bellezza, sovente baciati dal sole e bagnati da un mare caldo e placido, che fu dedalo per Ulisse nonché conquista ambita per moltissimi monarchi e sovrani della Storia Antica. Ciò nondimeno, è chiaro che una cultura conferisca carattere ad un’area geografica. Tranne che nelle comunità cosiddette primitive, in ogni civiltà la gente trasforma lo spazio nel quale vive edificando costruzioni, creando vie di collegamento, lavorando la terra ed incanalando l’acqua. E tanto più sofisticate sono le tecnologie che sviluppa e di cui dispone tanto più radicale – oserei dire drammatico - è il cambiamento che apporta al territorio. Eppure, nella pensiero politico italiano, come d’altronde in quello europeo, la sensibilità per la tutela dell’ambiente si è sviluppata abbastanza tardi. Tralasciando le prime speculazioni che potremmo definire di carattere “ecologista” che giungevano d’oltreoceano, primo fra tutti il celebre scritto della prima metà dell’Ottocento di Hanry David Thoreau, ovvero “Walden, vita nei boschi”, il tema del rispetto e della difesa dell’ambiente è giunto al centro del dibattito politico solo dopo il sensazionale documentario di Al Gore, “Una scomoda verità” del 2007. In quel documentario, Gore presentava all’umanità il suo nemico, ovvero sé stesso, responsabile senza dubbio e senza appello dell’avvelenamento del Pianeta per effetto delle emissioni dei gas serra.  L’incidenza delle emissioni di Co2 sui cambiamenti climatici - rappresentato con un inequivocabile quanto efficace grafico – e il loro evidente collegamento con i devastanti fenomeni atmosferici che si sono verificati a tutte le latitudini negli ultimi 10/15 anni; il riscaldamento globale e il pericoloso innalzamento del livello degli oceani, erano tutti dati che hanno contribuito a svegliare le coscienze, a destrare consapevolezza ed insieme un sentimento di paura. No dunque, la natura non vince sempre!

Da italiani, non possiamo invece non ricordare le stagioni del sacco di Palermo come emblema della assoluta indifferenza nei confronti di temi come la tutela del paesaggio tanto naturale quanto culturale. Sorgevano allora palazzi come malerba e non andava meglio neanche in Calabria o al Sud in genere. Le coste erose, edificate, stuprate. Gli agrumeti sostituiti dal cemento, gli scarichi fognari abusivi che imbrattavano ed imbrattano tutt’ora il nostro mare. E poi ancora, l’affondamento delle Navi dei veleni, l’interramento dei rifiuti pericolosi (addirittura a Crotone non più di qualche anno fa è emerso che nella costruzione di una scuola sarebbero stati impiegati materiali di scarto dell’industria), a Salerno l’Ilva, a Casale Monferrato l’Eternit, a Napoli la “terra dei fuochi” e chissà quanto ancora... Il tutto collegato ovviamente all’incidenza dei tumori ed alle morti assurde, ingiustificabili ed impagabili. La tutela del paesaggio è dunque anche tutela della vita e della salute.

 D’altro canto, è molto più recente il caso di Pompei, paesaggio unico nel suo genere, dove per anni e nonostante i commissariamenti e gli investimenti a pioggia abbiamo assistito ad un degrado progressivo, un “abbandono attenzionato”, culminato nel crollo di alcune delle strutture più importanti del sito archeologico. E’ proprio la presenza di numerosi e fondamentali scavi archeologici a segnare, come una matrice, il territorio italiano. Da Sud a Nord, sono migliaia le testimonianze di civiltà antiche, grandiose, senza eguali. Ciò nondimeno si tratta anche del settore più trascurato tra quello afferente ai Beni Culturali perché il più difficile da tutelare in assenza di risorse; assenza determinata da una precisa linea politiche fatta di tagli e ridimensionamenti in continuità con quel pensiero tanto assurdo quanto ormai tristemente famigerato secondo cui “con la cultura non si mangia”.

Insomma, sono luoghi della memoria che diventano luoghi dell’oblio. Retaggio storico-culturale della colonizzazione greca, della cultura romana e non solo, diario della nostra storia, risposte alle domande ataviche dell’uomo (chi siamo? da dove veniamo?), il patrimonio archeologico italiano è molto di più che l’insieme dei luoghi della vita dei nostri millenari antenati: esso rappresenta la nostra preziosa eredità. Eppure oggi, quei reperti, quegli scavi, quel patrimonio archeologico (quella ricchezza troppo spesso millantata nelle dichiarazioni da propaganda), è perlopiù dimenticato, consegnato al dimenticatoio, scordato dalle Istituzioni, ignoto agli italiani e improduttivo. Il ché per una Nazione a vocazione turistica è tutto dire! Non suscita meraviglia quindi che città come Berlino, la cui storia è stata letteralmente cancellata dai bombardamenti e dall’assedio degli ultimi mesi della seconda Guerra Mondiale, vanti più visitatori di Roma.

La difesa del patrimonio storico e artistico auspicata dalla Costituzione è stata dunque tradita? In ogni caso, è certo che non esiste tutela senza promozione. Non un’opera d’arte, una scultura, un’opera architettonica è data una volta per tutte. L’arte ha un costante bisogno di essere riscoperta, curata, ricontestualizzata, discussa e reinterpretata. E’ il caso del Caravaggio, artista sublime dalla vita tormentata, vessillo e simbolo dell’Italia, che fu tratto dalla penombra tanto tipica nei suoi quadri proprio nel corso del ‘900 dal critico Roberto Longhi.

La sfida è tutta qui: far rivivere il patrimonio culturale italiano non come merce da esporre in vetrina, ma come cosa viva, pulsante di vita e fremente di passione, foriera di conoscenza e di pensiero. Le gallerie d’arte, i Musei, le biblioteche, i palazzi e le piazze storiche, i siti archeologici - per quanto necessitino di una spinta propulsiva a ché tornino ad essere invase dai turisti, spinta che avrebbe un ovvio ritorno economico capace di rendere il patrimonio culturale auto sostenibile -, è importante soprattutto che tornino ad essere avvertiti come i luoghi propri della cultura italiana. Luoghi, cioè, capaci di comunicare prima a noi stessi e poi agli altri, perché è inutile presentarli al mondo se noi stessi ne ignoriamo l’essenza. Luoghi recepiti per quel che sono, preziosi pezzi di Storia e non come mura mute. Che facciano ripensare, eccitare, sognare le epoche del passato, immaginare un mondo nuovo. Essi devono tornare ad essere il punto di ritrovo e di ristoro per l’anima di giovani e meno giovani, vere e proprie fucine culturali che diano vita a nuovi Michelangelo e nuovi Da Vinci. Tutto ciò, e non nel senso di un rinnovato classicismo o manierismo di sorta, ma come fondamentale bagaglio di conoscenza per la creazione di nuove forme espressive. Sarebbe la vera “rivoluzione culturale”, una rivoluzione che si rende tanto più necessaria ed urgente quanto più si verifica il ritorno dei rigurgiti dell’intolleranza, delle urla laceranti della propaganda oscurantista neo nazionalista, dei mali dell’ignoranza.

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