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Analisi del testo su Sciascia Maturità 2019: traccia svolta sul giorno della Civetta

19 giugno 2019

Autore Maturità 2019: traccia e svolgimento su Sciascia di analisi del testo

Gli autori della Maturità 2019 sono due: Ungaretti e Sciascia. Il secondo autore è meno conosciuto e i maturandi si sono ritrovati davanti alla traccia di Tipologia A (numero A2) basata sul suo romanzo più popolare, Il Giorno della Civetta. Ovviamente nel testo della traccia c'è un estratto dell'opera dell'autore siciliano e lo svolgimento prevede l'analisi e la comprensione del testo. Quali sono le domande e come rispondere? Noi di ScuolaZoo abbiamo preparato la traccia svolta di Prima Prova 2019 per voi. Volete sapere quali sono le altre tracce e tutti gli aggiornamenti in diretta sulla Maturità 2019? Leggete qui:

Traccia svolta su Sciascia: svolgimento analisi del testo per la Prima Prova

Sciascia è l'autore meno conosciuto della Maturità 2019 e il testo scelto per l'analisi è Il Giorno della Civetta. Come rispondere alle domande di analisi e cosa scrivere nella comprensione? Ecco la traccia svolta:
  1. Sintetizza il contenuto del brano, individuando quali sono le ricostruzione del capitano e le posizione degli interlocutori.
- Il presente brano è riprodotto dal Il giorno della civetta, pubblicato nel 1961 e considerato il primo grande romanzo di Leonardo Sciascia. Al centro della vicenda vi è la drammatica realtà della mafia, descritta per la prima volta in modo esplicito in un’opera narrativa. Nell’estratto qui riportato, in merito all’indagine sull’omicidio di Salvatore Colasberna, il capitano si appresta a condurre l’interrogatorio ai suoi familiari e amici, una volta convocati in caserma. Già nell’incipit il capitano dà il via alle sue ricostruzioni, facendo notare ai presenti come gli siano state recapitate varie lettere al suo indirizzo, tra cui una delle quali denunciava il motivo del delitto per un affare di gelosia. Continuando, il capitano propone un’ulteriore lettura, suffragata dal parente della vittima, Giuseppe Colasberna: l’omicidio si sarebbe trattato di un errore; invece di eliminare infatti l’obiettivo prescelto, il mandante avrà confuso persona, togliendo quindi la vita al malcapitato imprenditore edile. Purtroppo, nemmeno questa tesi regge più di tanto dato che, all’ipotetico obiettivo del delitto, un certo Perricone, era stato rilasciato un passaporto due settimane addietro, pertanto questi si trovava fuori Italia, precisamente in Belgio, al momento dell’assassinio. Fa notare allora in ultimo il capitano, scontrandosi con l’incredulità dei presenti, come il nocciolo della vicenda sia da ricondurre alla faccenda degli appalti pubblici. E mostra tale esempio: su dieci ditte edili che operano nella provincia, ognuna è obbligata a salvaguardare i proprio mezzi e i proprio attrezzi, facendo la ronda anche di notte per non lasciarli incustoditi. La mafia, allora, fa proprio leva su questo: con la minaccia di danneggiare tale materiale, chiede una protezione. La protezione però, non si limita solo in questo aspetto, è molto più vasta: ottiene per voi, per le ditte che accettano protezione e regolamentazione, gli appalti a licitazione privata; vi dà informazioni preziose per concorrere a quelli con asta pubblica; vi aiuta nel momento del collaudo; vi tiene buoni gli operai.. […]. Su dieci ditte, aggiunge il capitano, capita sempre quella che non si piega a un tale ricatto, la pecora nera. Bisogna quindi metterla a tacere, perché il solo fatto che esista stride con l’esempio che la mafia è chiamata a dare. Messi di fronte all’evidenza e al chiaro e lucido ragionamento del capitano Bellodi, i parenti e amici della vittima mostrano infine totale scetticismo, quasi diffidenza, tanto che il fratello del malcapitato, Giuseppe, ammette: non le ho mai sentite queste cose.
  1. La mafia, nel gioco tra detto e non detto che si svolge tra il capitano e i familiari dell’ucciso, è descritta attraverso riferimenti indiretti e perifrasi: sai fare qualche esempio?
Sin dall’inizio del brano, il clima che si viene a creare in caserma fra il capitano Bellodi e i parenti e amici della vittima, non è certo genuino, autentico. Il capitano non ha a che fare con alleati, desiderosi quanto lui di giungere, anche rapidamente, alla verità. Bensì, il contrario: è lui, in prima persona, prima che a fare luce sul delitto, a fare luce sui parenti, ad illuminarli, a condurli fuori dal loro retaggio mentale. Da notare come sapientemente Sciascia traduca la reticenza dei parenti e amici, in oculato gioco letterario: la parola mafia non compare non perché inutile, ma perché più utile se sottesa, contornata quindi da quella sottile sfumatura che sta indicare quell’omertà di cui i parenti sono vittima. Molteplici le spie testuali a sostegno di tale scelta stilistica: in primis, il riferimento del capitano Bellodi alla gente che non dorme mai, colori i quali interagiscono cogli operai delle ditte appaltatrici, specialmente di notte mentre quest’ultimi sono intenti a sorvegliare il proprio materiale. Gente, quindi, indizio quanto mai generico. E, sebbene sia generico, la stessa gente è capace di mettere mano a un coltello alla gola. Nell’ultimo paragrafo compare un altro epiteto: associazione. Viene usato da Sciascia per indicare la medesima cerchia di malfattori: la protezione che l’associazione offre è molto più vasta. La modalità usata quindi dal romanziere è prettamente impersonale e quando fa impiego di appellativi, questi sono tutti di carattere generico.
  1. Nei fratelli Colasberna e nei loro soci il linguaggio verbale, molto ridotto, è accompagnato da una mimica altrettanto significativa, utile a rappresentare i personaggi. Spiega in che modo questo avviene.
Si è fatta menzione fino ad ora dell’incredulità e del muro di omertà innalzato dai parenti e dagli amici della vittima Colasberna, una volta arrivati in caserma. Il linguaggio è ridotto all’osso. Già dall’incipit, infatti, alle supposizioni messe in atto dal capitano Bellodi, il fratello della vittima, Giuseppe Colasberna, risponde laconicamente e in maniera concitata. Abbiamo quindi un «cose da pazzi» quasi in contrasto all’ipotesi iniziale del capitano, secondo cui il motivo dell’omicidio era afferente alla sfera della gelosia. Seguono, nel mezzo del brano, un «può essere» e un «non può essere», sempre da parte di Giuseppe Colasberna, in merito alle congetture di Bellodi sull’errato obiettivo, da parte degli assassini, dell’omicidio. Anche la mimica sottende la modalità omertosa, con cui i parenti e amici scelgono di condurre l’interrogatorio. A parlare sono soprattutto gli occhi. «I soci con rapida occhiata si consultarono», in primo paragrafo, di risposta alla prima ipotesi del capitano. In ultima sede, «con facce stralunate, annuirono» al primo riferimento mafioso da parte del capitano. La mimica di approvazione, infine, a rinverdire dunque l’idea di scetticismo reiterato dell’uditorio.
  1. A cosa può alludere il capitano quando evoca «qualche fatto» che serve a persuadere tutte le aziende ad accettare la protezione della mafia?
Prima di far riferimento a uno spiacevole epilogo, cui andrebbero soggette le ditte appaltatrici nel caso rifiutassero la protezione, Sciascia fornisce un chiaro esempio di interazione mafiosa, una sorta di compravendita soggiacente a uno scambio equo. Si metta caso, dice l’autore, che in una zona operino dieci ditte appaltatrici e ogni ditta debba tener conto, soprattutto di notte, della difesa e della tutela dei propri mezzi e attrezzi, «lasciati di notte lungo le strade o vicino ai cantieri in costruzione». Poco ci vorrebbe, sfruttando vantaggiosamente la sonnolenza di coloro che sorvegliano, a «tirare fuori un pezzo alle macchine» o, in riferimento ai materiale, «a farli sparire o a bruciarli sul posto». Ecco allora una possibile interpretazione al «qualche fatto» menzionato dal capitano Bellodi, utilizzato dai malviventi per incutere terrore, per indurli in maniera coatta a cooperare. Vi è da sottolineare ancora un’altra dinamica per cui i mafiosi, tentanto di piegare al proprio volere le vittime: il riferimento è al «coltello alla gola» citato nel secondo paragrafo. Se le parole non bastano quindi, vi è sempre un piano di scorta da mettere in atto.
  1. La retorica del capitano vuole essere persuasiva, rivelando gradatamente l’unica verità possibile per spiegare l’uccisione di Salvatore Colasberna; attraverso quali soluzioni espressive (ripetizione, scelte lessicali e sintattiche, pause ecc.) è costruito il discorso?
Il capitano Bellodi sembra accorgersi dapprincipio dell’atteggiamento meditabondo e velatamente ostile dei parenti e amici della vittima. Pertanto, quasi a saggiare la loro capacità di riflessione e analisi, propone loro una serie di congetture e motivi per cui, al loro caro, è stata tolta la vita. In prima sede infatti, il capitano, ad ogni congettura, prende una pausa, dando quindi agli spettanti modo di pensare. Parte dunque un dialogo dove l’autore fa ricorso al discorso diretto. Man mano, la sintassi del capitano accelera, si fa più articolata, pur mantenendo un sostanziale equilibrio tra l’uso della paratassi e ipotassi. Innegabile la scelta di Sciascia di far adoperare al capitano un lessico fondamentalmente asciutto, che sia di facile assimilazione. Infatti, più che un interrogatorio, sembra che il capitano stia tenendo una lezione e stia, quindi, racconto un fatto, i cui uditori sembrano estranei. Qui trovate la produzione e interpretazione svolta: Nel brano si contrappongono due culture: da un lato quella della giustizia, della ragione e dell’onestà, rappresentata dal capitano Bellodi, e dall’altro quello dell’omertà e dell’illegalità: è un tema al centro di tante narrazioni letterarie, dall’Ottocento fino ai nostri giorni, e anche cinematografiche, che parlano in modo esplicito di organizzazioni criminali, o più in generale di rapporti di potere, soprusi e ingiustizie all’interno della società. Esponi le tue considerazioni su questo tema, utilizzando le tue letture, conoscenze ed esperienze. Sulla propria opera, in merito alla mafia, Sciascia afferma «nessuno aveva messo l’accento su questo problema in un’opera narrativa di largo consumo. Io l’ho fatto». Lo scopo del romanzo è precisamente quello di denunciare con una esemplificazione narrativa (sono parole di Sciascia) che la mafia esiste davvero: che non è un fatto folcloristico, ma un fenomeno socioeconomico razionalmente spiegabile. Lo scrittore, infatti , non si limita a descrivere la cultura mafiosa, ma si interroga anche sulle ragioni storico-politiche che l’hanno determinata e la alimentano. Secondo la sua interpretazione, la mafia si impone come Stato sullo Stato, cui i cittadini, volenti o nolenti, sono costretti a ricorrere e ad obbedire. Chiaro è che ciò può avvenire solo con la connivenza di esponenti delle istituzioni. Negli anni cinquanta e sessanta la mafia sta spostando i suoi interessi dal mondo agrario a quello cittadino degli appalti, del pizzo e dell’usura, ampliando notevolmente il proprio raggio d’azione. Il giorno della civetta vuole appunto esemplificare questa trasformazione, fotografando un’organizzazione criminale che non si sviluppa più al posto dello Stato, ma dentro lo Stato: tutte ipotesi che, nei decenni a venire, la magistratura antimafia avrebbe puntualmente avrebbe confermato. Il binomio mafia e letteratura ha avuto una fortunata evoluzione nel panorama letterario italiano in particolar modo nell’Ottocento e nel Novecento. Pirandello, ne I Vecchi e i Giovani (1913), analizza la figura di Roberto Auriti, candidato dal partito di Crispi, che nota sospettoso e insicuro la venuta improvvisa in paese di certe persone poco prima delle elezioni. La stessa madre di Roberto Auriti, Caterina Laurentano, spiega al Veronica, fedelissimo di Crispi, che la mafia è una buona scusa e un efficiente mezzo per coprire trent’anni di malgoverno. Verga, nel Mastro don Gesualdo, descrive il canonico Lupi e il barone Zacco con le peculiari caratteristiche del mafioso, e anche il marito di Diodata, Nanni l’Orbo, che la stessa Diodata era stata costretta a sposare con un matrimonio riparatore da Gesualdo, anche se innamorata di quest’ultimo, è un preciso esempio di picciotto, che dopo aver “sgarrato”, fa una brutta fine. Nei Vicerè di De Roberto, è descritta profeticamente tutta la vicenda di Tangentopoli, con voti di scambio e appalti pubblici e da lì si arriva alla questione che più di ogni altra è la causa dell’impossibilità e incapacità di contrasto del fenomeno mafioso, ma anche responsabile di tante altre rivoluzioni mancate e occasioni perdute: «la tragica impreparazione e la mancanza di collegamento fra dirigenti e masse che furono tipiche di tutte le rivoluzioni e rivolte meridionali». Passando per Tomasi di Lampedusa, che dapprima fa descrivere al Principe Salina il fenomeno con una sola parola mentre distorce il nipote Tancredi a frequentare certa gente3 e in seguito fa uso di un riferimento maggiormente esplicativo, come il bisogno impellente di Don Fabrizio di dover fare dei regali a certa «gente influente di Girgenti» per poter tranquillamente usufruire dei pozzi d’acqua legati alla mafia quando si spostava da Palermo a Donnafugata. Più vicini ai nostri tempi, abbiamo Italo Calvino e Pierpaolo Pasolini. Di Calvino è da citare un saggio comparso su Repubblica il 15 marzo 1980: Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti. Qui, il poeta nato a Cuba analizza la linea sottile che vi è tra lecito ed illecito, l’identificazione del proprio potere con il potere centrale, cosicché intascare la tangente non sarebbe di per sé un reato se ciò collima con la mentalità comune. Dunque da qui il dubbio se anche i Magistrati, gli uomini di legge siano collusi essi stessi. Anche Pasolini presterà la sua penna per denunciare alcuni misfatti di stampo mafioso. Il riferimento è ad un articolo sul Corriere della Sera del 14 novembre 1974. Pasolini sa, ma non ha le prove. Ma parla. Rimprovera ai politici ed alla classe dirigente di avere le prove e di non parlare. Perché la classe politica, collusa con la Mafia e responsabile delle stragi di Stato più efferate, ha tutto da perdere facendo questi nomi, mentre lui non ha niente da perdere. (Credits: Wikipedia)
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