Se le scuole cadono a pezzi i ragazzi non sono da meno
La mia scuola ha due sedi.
Una superfiga, corridoi perfetti, nuovissima, aule immense, banchi nuovi, laboratori ovunque. L'altra non è neanche una scuola: è un palazzo degli anni 40 riutilizzato come scuola. Se apri una finestra lo fai a tuo rischio e pericolo, le pareti sono state imbiancate l'ultima volta quando c'era Saragat presidente, le aule sono minuscole, le tapparelle sono mezze rotte, le tende ce le siamo portate noi prof da casa a nostre spese.
Naturalmente la mia sede è la seconda.
Bene. Quando si fa ricreazione dentro, devi girare con qualche arma contundente, ci sono ragazzi che si lanciano contro le porte, volano oggetti e a volte persone, tutti urlano, dieci minuti lì dentro e puoi uscirne con deliri post-traumatici stile guerra di trincea.
Quando i ragazzi sono così agitati, agitati in questo modo qui voglio dire, quasi sempre la spiegazione è una: non stanno bene nel posto dove stanno.
Oggi sono andato nell'altra sede. A confronto con la mia, non volava una mosca. Sì: parlavano, ridevano, c'era rumore, ma erano sereni. Mi sembrava di respirare dopo una lunghissima apnea.
Ci ho pensato ed è l'esempio più perfetto della
teoria delle finestre rotte, che dice che dove c'è ordine, bellezza, pulizia è molto più difficile che si sviluppi la criminalità e la malvivenza.
Ecco, la morale di questa storia è semplice, ed è questa: se ci date scuole che cadono a pezzi, aspettatevi ragazzi che cadono a pezzi.