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La banalità del male di Hannah Arendt: riassunto e riflessioni sul totalitarismo

15 gennaio 2019

Hannah Arendt, La banalità del male

L'avvicinarsi della Giornata della Memoria ci spinge sia a non dimenticare l'orrore della Shoah che a fare alcune riflessioni sui totalitarismi. Per questo ultimo aspetto può esserci d'aiuto il pensiero della filosofa Hannah Arendt riassunto nella sua opera "La banalità del male". Nel libro l'autrice non solo indaga l'origine dei totalitarismi, ma fa importanti riflessioni sull'essere umano e su quanto possa essere meschino e superficiale anche di fronte ad eventi come lo sterminio degli ebrei avvenuto durante la Seconda Guerra Mondiale. Noi di ScuolaZoo in questo articolo abbiamo fatto per voi un breve riassunto del libro a cui abbiamo unito alle riflessioni di Hannah Arendt alcuni pensieri sulla banalità del male oggi. Prima di iniziare non perdete:

La banalità del male di Hannah Arendt: riassunto

Nel 1961 Hannah Arendt, giornalista, seguì per il quotidiano New Yorker il processo contro Adolf Eichmann, un funzionario tedesco responsabile dello sterminio degli ebrei durante il periodo nazista, catturato in Argentina, dove si trovava come latitante sotto protezione del governo locale, dai servizi segreti e portato a Gerusalemme, in terra Israeliana dunque, per essere sottoposto a processo, tuttavia senza il rispetto di un giudizio da parte di una corte imparziale (la corte era difatti composta da Ebrei, quindi la parte lesa del processo). Otto Adolf Eichmann aveva coordinato l'organizzazione dei trasferimenti degli ebrei verso i campi di sterminio, dichiarando quindi come sua principale difesa il fatto che lui si fosse “occupato solo dei trasporti”: da qui nasce tutto il pensiero che l’autrice intende manifestare al mondo intero riguardo l’indifferenza e la superficialità con le quali questo uomo aveva partecipato al genocidio. Ella si aspettava di trovarsi al cospetto di un mostro, incarnazione della violenza umana nella sua forma originale, pura e distruttiva: una figura tragica, quasi mitologica e spietata. Invece dovette fare i conti con la cruda realtà: si trovò davanti un grigio e dozzinale funzionario, incapace di avere una riflessione su quanto commesso, incapace di avere un ragionamento proprio. Un uomo massificato, senza capacità di avere un ragionamento proprio: tutte motivazioni che lo avevano poi spinto a unirsi al regime ed a partecipare attivamente a crimini feroci senza nemmeno capire cosa stesse facendo. Da qui il suo libro, "La banalità del male: non c’è bisogno di geniali killer spietati e sadici per commettere un genocidio, basta l’assenza di riflessione, l’assenza di abitudine al pensare ed il demandare il proprio futuro e le decisioni a qualcuno a cui non si fanno domande per creare tutto ciò. Il titolo dell’opera fu inizialmente mal interpretato, poiché Hannah Arendt, ammettendo la banalità del male, non voleva certo banalizzare la soluzione finale, quel crimine senza precedenti nella portata e incomprensibile. Al contrario voleva rendere ancora più mostruoso ciò che era accaduto: Eichmann stesso non aveva rimorsi, né una coscienza che lo avesse portato nel tempo a maturare una riflessione sull’accaduto, egli stesso disse che “sotto il Nazionalsocialismo il male era la legge che regolava il tutto e lui non aveva pensato neanche per un solo istante di infrangere la legge”.

La banalità del male oggi: riflessioni 

Dalle riflessioni di Hannah Arendt in "La banalità del male" possiamo allargare il discorso anche ai giorni nostri: innanzitutto “historia est magistra vitae”, e questa è una cosa che non dobbiamo mai dimenticare. Studiare, conoscere la storia, incuriosirsi hanno il duplice effetto da un lato di sapere cosa sia successo in passato e quindi il non ripetere più errori disumani che hanno portato pochi uomini a uccidere persone innocenti, nel più vigliacco assenso silenzioso di individui che dai pochi si facevano governare, dall’altro lato di stimolare il pensiero ad una riflessione, ad una maturazione che possa impedire di diventare come Eichmann: persone grigie, burocrati complici ignari del male che viene perpetrato dal proprio governo che pensano solo al loro piccolo orizzonte di sicurezza e sopravvivenza. Ma dove attecchisce questo male? La risposta è presto data: nell’ignoranza ed anche nel piccolo amor proprio, nell’egoismo. L’ignoranza è la componente fondamentale, basata sulla paura verso il prossimo, verso quello che non si conosce e verso il cambiamento, quindi proprio sull’egoismo. Vedere oggi gli immigrati come “virus” (come Eichmann definì gli ebrei in una delle sedute del processo), non dar loro una mano, dovrebbe farci paura, dovrebbe farci sentire come dei piccoli nazionalsocialisti. Il totalitarismo si basa proprio sulla ricerca di sicurezze interne e chiusura delle frontiere, sulla creazione di un nemico esterno al proprio territorio da scacciare, sulla non-conoscenza ed ignoranza. Purtroppo anche oggi, nonostante l’immenso collegamento che tutti abbiamo, nonostante globalizzazione, internet, pc, smartphone, siamo tutti concentrati su noi stessi, e sulla sopravvivenza. Ecco una citazione di Hannah Arendt esemplificativa: “restai colpita dall’evidente superficialità del colpevole, superficialità che rendeva impossibile ricondurre l’incontestabile malvagità dei suoi atti a un livello più profondo di cause e motivazioni. Gli atti erano mostruosi, ma l’attore risultava quanto mai ordinario, mediocre, tutt’altro che demoniaco e mostruoso. Nessun segno in lui di ferme convinzioni ideologiche o specifiche condizioni malvagie, e l’unica caratteristica degna di nota che si potesse individuare nel suo comportamento fu: non stupidità, ma mancanza di pensiero.” La stessa mancanza di pensiero, se si riflette, che ritroviamo oggi nella massa, che invece di incuriosirsi, chiedersi il perché, acculturarsi, demanda tutto ai social, a programmi trash, ad una barbara ed inutile ricerca della popolarità fine a sé stessa. Perché? Perché si rischia di comportarsi come Eichmann, diventando complici ignari ed inconsapevoli del male che può avvenire attorno a noi. Dobbiamo incuriosirci, diventare attori sul palcoscenico del nostro Paese e del mondo, per non diventare delle semplici comparse, colluse e colpevoli silenti di crimini indicibili. (Crediti Immagini: Pixabay)
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