Non ci sono armi, non ci sono soldati, ma sempre di guerra si tratta: quella della ricerca è una lunghissima battaglia che mette a confronto migliaia e migliaia di dotti sul campo delle conoscenze. E l’Italia, come tante altre volte riportate dalla Storia passata, sta nuovamente perdendo.
Le statistiche della ricerca in Italia non sono rassicuranti: a riportarceli è Gian Antonio Stella, sul Corriere della Sera, in un’indagine che ha subito messo in luce dati funesti. È emerso che su 13.239 docenti universitari ordinari, nessuno ha meno di 35 anni e appena in quindici non hanno ancora compiuto i 40 anni. L’età media è passata a 52 anni, un aumento accompagnato da un drastico calo dei professori under 30, che generalmente sono anche ricercatori.
Il dato è preoccupante e se n’è accorto anche Stefano Paleari, rettore dell’Università di Bergamo, il quale ne ha riconosciuto la causa nelle limitazioni al turnover iniziate nel 2008, con cui si è ridotto il personale docente universitario limitando l’ingresso ad un solo giovane ogni due pensionati. In questo modo il ricambio generazionale è rallentato sensibilmente, ma così continuando le prospettive future dipingono una situazione in cui i giovani ricercatori italiani non avranno la possibilità di partecipare ai programmi europei.
Di soluzioni a questo problema se ne sono sentite tante, ma quella suggerita da Paleari ha qualcosa di originale. Per arrivare ogni anno a selezionare almeno il 20% dei migliori dottori di ricerca (ovvero circa 2000 giovani) lo Stato dovrebbe caricarsi della spesa di circa 100-300 milioni di euro annui. Una cifra irrisoria, se si considera l’entità di altre spese inadeguate o sprechi di cui si è macchiata l’amministrazione italiana. La strada per arrivare a raccogliere queste somme ci è indicata da Paleari stesso, il quale ha suggerito di ricorrere alle accise su alcuni prodotti di consumo, come quelli petroliferi. Dopotutto, se guerra è, non dovrebbe essere un problema pagare quelle stesse accise che ancora oggi, dal lontano 1935, paghiamo per sostenere il conflitto in Abissinia.
Che si possano condividere o meno le metodologie proposte da Paleari, bisogna comunque considerare che i dottori di ricerca italiani sono motivo di vanto, ampiamente richiesti all’estero e per questo una risorsa che finora sta avvantaggiando più gli altri Paesi che noi stessi. Voi che ne pensate, allora, di questa soluzione che Paleari ha presentato per ridare slancio e competitività alla ricerca italiana? Commentate o scrivete a infostudenti@scuolazoo.it!
Riccardo Gemma