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Hong Kong: studenti in lotta per la democrazia

20 ottobre 2014
Non cerchiamo la rivoluzione. Vogliamo solo la democrazia.” Sono le parole di Joshua Wong, 17 anni, leader del movimento studentesco denominato “Occupy Central with Love and Peace” che dal 28 settembre sta occupando pacificamente il quartiere di Admiralty, centro dei ministeri e del bussiness, cuore della città di Hong Kong.

Nonostante la visibilità acquisita negli ultimi giorni, gli studenti non sono i soli a protestare: al loro fianco ci sono moltissimi professori, liberi professionisti e numerosi cittadini appartenenti alla medio-medio alta borghesia cinese. Restano in piedi, dormono per le strade, sono sempre sotto stretta sorveglianza della polizia, ma non si muovono, nonostante gli ultimatum del governo e della polizia stessa.

Sappiamo che, a grandi linee, il loro obiettivo è quello di raggiungere la democrazia, ma qual è stata la causa scatenante della protesta? Nel 2017 sono previste ad Hong Kong le elezioni del governatore della regione, ex colonia Britannica, Speciale Regione Amministrativa della Cina, che tornerà gradualmente sotto sovranità cinese entro il 2047. Le elezioni del 2017 dovrebbero essere le prime “libere” per la popolazione di Hong Kong, in quanto saranno le prime a suffragio universale, ma il governo si è riservato il diritto di scegliere i candidati, i quali dovranno aver dimostrato grande fedeltà al governo stesso. Tutto questo ha fatto scaturire l’ondata di protesta, che è ripresa dopo il rifiuto del governo di aprire un dialogo con i manifestanti.

Per ora resta sconosciuto il destino delle elezioni 2017, ma comunque, questa protesta avrà qualcosa da insegnare. Dal 28 settembre uomini, donne, studenti, lavoratori protestano pacificamente, nonostante alcuni –pochi- incidenti e scontri con la polizia ed i contro-manifestanti filocinesi. L’aspetto da sottolineare è che coloro che protestano non impediscono a chi vive e lavora nel quartiere occupato di svolgere le solite attività quotidiane; l’unico disagio riscontrato è stato un rallentamento del traffico e dei normali flussi lavorativi.

Ciò è dovuto “alla natura delle persone locali, di per sé molto tranquille e sempre attente a rimanere entro i confini di un certo conformismo-perbenismo sociale che non considera andare per strada a manifestare un comportamento perbene” spiega Federico Pachetti, studente universitario livornese ad Hong Kong, “ma è anche dovuto ad una consapevolezza della loro assoluta debolezza e del fatto che qualsiasi uso della forza peggiorerebbe soltanto la loro situazione e darebbe alla Cina uno straordinario argomento per reprimere le proteste”.

La differenza con i disagi, la violenza, le vittime, i danni materiali ed economici che una protesta di tali dimensioni potrebbe portare in un qualsiasi Paese europeo è notevole. Perciò poco importa che, in Italia la democrazia già ci sia, perché, qualunque sia l’esito di questa protesta, il popolo italiano ha tanto da imparare dagli studenti di Hong Kong: manifestare il proprio malcontento al governo non deve per forza significare distruggere, rovinare, ferire, picchiare, incendiare, morire. Perché ciò che conta non è la violenza; ciò che conta è farsi ascoltare.

Elena Bertola di Infostudenti
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