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L'importanza delle radici (Liceo Classico)

8 giugno 2016

Gli ultimi giorni da liceali, le ultime ore passate nella classe prima degli esami, seduti al proprio banco. È come quando si preparano le valigie prima di tornare a casa, forse uno dei momenti più profondi e commuoventi del viaggiare: ci si ricorda di quello che si è conosciuto, si ama quello che si è imparato, si inizia a provare la nostalgia dei giorni che non si possono recuperare. Ci si domanda poi, con l’incertezza della paura sulle labbra, cosa sarà domani, come sarà il futuro.

Tra le tante cose che s’imparano negli anni di Liceo Classico forse una soltanto è quella chiave che accompagna ognuno per tutta la vita: l’importanza della radice, ovverosia la capacità di scavare in ogni terreno. È un allenamento duro, faticoso, un esercizio la cui utilità inizialmente appare nascosta, talvolta non si mostra neppure. Lentamente, tuttavia, si acquisisce una certa consapevolezza.

Quando al liceo classico ci si trova davanti a una versione, sia di greco che di latino, il problema fondamentale è capire modo, tempo, significato e reggenza del verbo: i paradigmi imparati a memoria ai tempi del ginnasio molto spesso non bastano. Il compito più arduo quindi è risalire alla radice di quel determinato verbo, è capire quale sia la sua prima persona, il suo nido semantico, la sua casa. Senza il verbo la frase non può assumere alcun senso: il predicato è il cuore pulsante che anima e vivifica le parole, è l’espressione della volontà all’interno di ogni discorso («è il particolare che sussume l’universale», scriveva Hegel). E questo scontrarsi continuo con l’apparenza per recedere ciò che trae in inganno è un’eredità esistenziale: chi ha faticato, con le mani nei capelli, davanti a un aoristo greco o a un perfetto latino, è consapevole di cosa significhi recuperare il significato perduto della parola, è in grado di risalire alla fonte del tutto. Chi ha frequentato il Liceo Classico è capace di scovare i significati laddove tutto appare privo di senso.

Chi ha frequentato il Liceo Classico è consapevole del fatto che il pensiero è parola, che la vita stessa è parola.

Più si scava al di sotto dell’apparenza, più si scopre come ogni evento politico, ogni situazione collettiva e ogni emozione personale siano riconducibili a una determinata radice, a un’essenza unica, a un ceppo preciso. «Guarda sotto la superficie: non lasciarti sfuggire la qualità o il valore intrinseco delle cose.» (Marco Aurelio, “Pensieri”).

Questo è il più grande insegnamento di una scuola come il liceo classico, oggi definita non al passo con i tempi, arretrata, priva di significato. Perché i tempi, è innegabile, cambiano, ma l’evoluzione, in ogni suo campo, altro non è che la crescita di un imponente albero che non può prescindere dalle sue radici, necessarie per mantenerlo in vita, necessarie perché cresca ancora di più: più un albero cresce verso l’alto più le sue radici affondano nel terreno.

Chi ha frequentato il Liceo Classico è consapevole di appartenere a queste radici, come affermava, qualche mese fa, Ivano Dionigi, rettore dell’Università di Bologna, in merito alla lingua latina: “Come dire: la lingua latina oggi non ci appartiene, ma noi apparteniamo ad essa”.

Il vero apporto alla realtà che uno studente, dopo cinque anni di questa scuola, può fornire è il valorizzare, attraverso questo patrimonio, le piccole azioni, i gesti apparentemente insignificanti e segretamente fondamentali. Si acquisisce, infatti, la capacità di rimpicciolire ciò che è troppo grande e apparentemente incomprensibile, di separare e scomporre i problemi in passaggi semplici. Quest’eredità esistenziale porta ad avvicinarsi, senza tuttavia raggiungerla, alla fonte delle domande inestinguibili, alla sorgente dell’esistenza.

«Anche per me non è sgorgata invano/ dal grembo oscuro di questa terra/ la sorgente nel bosco della vita/ a cui mai arriverò vicino». Scrive, con profonda consapevolezza, Walter Benjamin in una delle sue poesie senza titolo. Forse simile a tali parole è il consiglio che questa scuola ti sussurra, nella sua imponente e affascinante ombra, nel suo glorioso ed eterno passato, quando ormai ti appresti ad abbandonarla e a salutarla definitivamente: «fai in modo che la sorgente nel bosco della vita, di cui ora hai avvertito il rumore, non sia sgorgata invano».

Andrea Migliorini

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