Gianluca Vago, rettore dell'università Statale di Milano, ha inaugurato l'anno scolastico del suo ateneo con una domanda indisponente: "
Servono ancora le università?". La sua provocazione si lega anche alla nuova riforma della
Maturità 2018, in particolare alla proposta di introdurre la
media del 6 come requisito per l'ammissione all'esame di stato.
Vago ha usato l'espressione "saldi formativi":
lo studente, in pratica, viene trattato sempre di più come se fosse un cliente. Da qui partono le riflessioni sul ruolo reale ed effettivo che la formazione universitaria potrà avere in un sistema così logorato.
Un sistema nel quale non si studia non per la conoscenza, ma unicamente per ottenere i crediti formativi.
Maturità 2018: ma sarà davvero così semplice?
A rispondere a questa domanda che è sorta un po' nelle menti di tutti gli italiani è stata proprio il
Ministro dell'Istruzione Valeria Fedeli, davanti alle Commissioni Cultura di Camera e Senato. Per il rettore della Statale "ogni viltà, ogni opportunismo,
ogni scorciatoia facile, ogni mediocre privilegio, ogni gratuita e svogliata inefficienza, ogni superficiale pressapochismo
sono una ferita che lacera la speranza dei nostri ragazzi e piega la loro fiducia".
La Fedeli ha annunciato per la prima volta che la
seconda prova potrebbe essere multidisciplinare e non più basata su una sola materia come accade oggi. Le sue parole sono state le seguenti: "L’esame sarà così più semplice nelle modalità, ma
questo non vuol dire più facile”.
Nel decreto si legge infatti che "La
seconda prova, in forma scritta, grafica o scritto-grafica, compositivo/esecutiva musicale e coreutica,
ha per oggetto una o più discipline caratterizzanti il corso di studio ed è intesa ad accertare le conoscenze, le abilità e le competenze attese dal profilo educativo culturale e professionale dello studente dello specifico indirizzo". Se il Miur decidesse di concretizzare questa ipotesi,
la seconda prova diventerebbe una via di mezzo tra la seconda e la terza.
Maturità 2018: riflessioni sparse
Partendo dallo sfogo del rettore Gianluca Vago, sorge spontaneo un pensiero: viviamo in tempi complicati, nei quali, come ci ricordava il linguista
Tullio De Mauro, la maggior parte degli italiani non sono in grado di comprendere un testo di media complessità. Viviamo in un'epoca di
mercificazione della cultura, in cui i giovani hanno perso il desiderio e la voglia di imparare. Lo fanno solo per ricevere un premio, una ricompensa, e non dovrebbe essere così.
Bisognerebbe riformare il sistema dalle basi. E più che pensare a modifiche parziali di un esame che non è mai riuscito a valutare il vero valore degli studenti, optare per un
meccanismo che riesca a premiarli nel modo più meritocratico possibile. La strada è lunga, i problemi tanti, la questione annosa: quello che vediamo, però, è un impoverimento sempre maggiore della conoscenza collettiva, centinaia di proteste, tanta rabbia, muri che si alzano, decisioni che si muovono dall'alto, senza sentire mai davvero la voce che nella pratica anima le mura scolastiche.