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Renzi: "In Italia università di serie A e di serie B, il merito prevalga"

20 febbraio 2015
[caption id="attachment_208888" align="alignleft" width="308"]Renzi interviene al Politecnico di Torino. Renzi interviene al Politecnico di Torino.[/caption]

Non si tratta di una scelta politica: in Italia ci sono università di serie A e di serie B nei fatti. Con queste parole possiamo riassumere l’intervento del premier Renzi tenuto all’inaugurazione dell’anno accademico al Politecnico di Torino, occasione in cui il Presidente del Consiglio è voluto ritornare sulla questione della meritocrazia, la stessa che da tanti anni fa scontrare politici, sindacati e comuni fruitori del servizio scolastico.

Il premier ha voluto sottolineare quanto la categorizzazione degli atenei per qualità non sia il frutto di decisioni politiche unidirezionali o di favoreggiamenti, ma piuttosto il risultato dei diversi percorsi e delle diverse scelte che ogni università ha la facoltà di compiere negli anni.  Sempre stando alle sue parole, è ingiusto negare che le università italiane non siano tutte allo stesso piano ed è “antidemocratico” rifiutare la logica del merito e della valutazione all’interno degli atenei. In democrazia, il principio di uguaglianza vale applicato alle condizioni di partenza, non di arrivo, ed è pertanto naturale che si creino delle differenze, nelle università così come in tutti gli altri ambienti della società.

Renzi interviene al Politecnico di Torino: "Ci sono università di serie A e di serie B, ridicolo negarlo".

Le parole di Renzi non sono da intendere come una scure da abbattere sulle università più deboli, ma piuttosto come un incentivo indirizzato agli atenei affinché riconoscano i loro punti più fragili per ripararli e i loro punti di forza per farne la propria identità. Non si può pensare di pareggiare il livello di tutte le nostre università per farle competere a livello globale, perché allora verremmo continuamente surclassati.

Allo stato attuale delle cose, il fondo ordinario di finanziamento delle università ammonta a circa 7 miliardi di euro e viene assegnato in base a due contributi: la quota base, che tiene conto delle esigenze dell’ateneo, e la quota premiale, su cui incidono fattori come la ricerca, le politiche di reclutamento, la didattica e l’attività a livello globale.

Le reazioni alle dichiarazioni di Renzi sono state disparate. Gianluca Scuccimarra, coordinatore dell’Unione degli Universitari, ha accusato il premier di esprimere “un’idea di università diametralmente opposta a quella della nostra Costituzione”. Ha poi aggiunto: “Rispondiamo che antidemocratico e antimeritevole è un diritto allo studio inesistente, messo in ginocchio da anni di mala politica e sottofinanziamenti”.

Di diversa opinione è Virgilio Falco, portavoce del movimento StudiCentro: “Chi contesta Renzi per aver detto oggi, senza falsa retorica, che non tutte le università italiane possano competere a livello globale, vive nel mondo dei sogni. Dare più fondi alle istituzioni accademiche che hanno sperperato meno e fatto crescere il nostro Paese per la ricerca e la qualità della formazione è un principio dal quale non si può tornare indietro.”.

Adesso chiediamo a voi: cosa ne pensate delle parole del Presidente del Consiglio? Credete che portare tutti gli atenei italiani sullo stesso piano a prescindere dai risultati ottenuti nella didattica e nella ricerca possa rilanciare l’università italiana a livello mondiale? Oppure ritenete che uno scenario del genere sia utopistico, se non addirittura contrario ai veri principi di democrazia? Commentate o scriveteci a infostudenti@scuolazoo.it!

Riccardo Gemma

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