Troppo contagiosa, la febbre del gioco. 700.000 italiani puntano soldi, tutti i giorni, per un totale annuo pro capite di 1.000 euro, e in media già 1 adolescente su 2 nasconde o ridimensiona ai genitori la gravità delle proprie scommesse; se si aggiunge l’elemento-chiave, costituito dalla pubblicità martellante che ci invita tutti a giocare tentandoci con i classici stereotipi di vincite favolose e fantastiche opportunità, si può facilmente intuire perché l'osservatorio Young Millenials Monitor abbia deciso di prendere in mano la situazione organizzando un nuovo, grande progetto, che avesse come prima finalità la prevenzione del gioco patologico nelle fasce più a rischio.
Le cause. "La propensione al gioco in Italia è un fenomeno distribuito in modo difforme e ci sono fattori che in modo chiaro ed inequivocabile determinano una maggior propensione al gioco tra i giovani", spiega Silvia Zucconi, coordinatore dell'osservatorio, che monitora il gioco d'azzardo in età giovanile in collaborazione con l'Università di Bologna. "Genere, area geografica di residenza, tipo di scuola frequentata, caratteristiche della famiglia di provenienza e stili di vita problematici possono fare la differenza".
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I numeri. Ma la vera domanda è: come si inizia a giocare d'azzardo? La rispostadelle statistiche è per curiosità (30%), per caso (23%) o perché il gruppo di amici già giocava (14%). Giochi più popolari? Non il Superenalotto, cotrariamente a quanto accadeva negli scorsi anni; nel 2015 il gioco che va per la maggiore è l'intramontabile Gratta&Vinci (preferito dal 38% degli studenti), seguito a ruota dalle scommesse sportive in agenzia (25%) e dai giochi di abilità online (20%).
La frequenza e i costi. Dagli studi emerge che circa 1 studente su 10 gioca almeno una volta a settimana, un buon 35%, invece, dichiara di tentare la fortuna saltuariamente, dopo aver racimolato un po' di soldi attraverso gli stipendi dei primi lavori. Per il 74% dei giocatori la spesa media settimanale è pari o inferiore a 3 euro.
Insomma, la situazione è più grave di quel che si crede. Basti pensare che lo Stato, fra qualche anno, dovrà impiegare gran parte di quanto ricavato dal gioco d’azzardo negli ultimi 10 anni per organizzare programmi di disintossicazione dei giocatori dipendenti: vale dunque veramente la pena di illudere a priori la collettività con l’allettante prospettiva di trascorrere il resto della vita in ville da sogno nelle più remote isole del globo, in caso di vincita al Superenalotto? Lasciateci i vostri pensieri e le vostre riflessioni al riguardo qui sotto nei commenti!