Un insegnante di una scuola di sostegno di Roma ha firmato una nota perché un suo alunno continuava a fare piccoli rutti in classe, disturbando la lezione. Tutto ordinario se non fosse per un piccolissimo particolare: Adriano, è questo il nome del tredicenne, è un ragazzo disabile. I rumori che stava emettendo durante la lezione non erano il tentativo, mal riuscito, di voler dare fastidio mentre il docente spiegava. Si trattava di un modo per comunicare un disagio. Il suo modo, l'unico che conosce.
Adriano va in prima media. A causa di un attacco di bronchiolite, ha subito una lesione cerebrale che gli ha provocato un danno permanente. Oggi non parla, non scrive e non ha idea di cosa sia una nota. La risposta della mamma, a quelle parole ritrovate sul quadernetto del figlio, è stata la seguente: “Ho sgridato Adriano per il suo comportamento. La nota positiva è che i rutti erano piccoli perché a casa li fa grandi”. Firmato: “La mamma”.
Lucia ha voluto raccontare questo strano episodio perché se un insegnante viene designato con l'appellativo "di sostegno" deve avere un valore aggiunto rispetto ai normali docenti. Adriano reagisce in questo modo quando vuole comunicare che non è più interessato a quello che lo circonda, che c'è qualcosa che non va bene. E la sua insegnante di sostegno non solo non se n'è resa conto, ma ha anche deciso di punirlo.
Questo episodio ci porta a riflettere sul fatto che spesso - ma per fortuna non sempre - gli insegnanti presenti nelle scuole non siano minimamente preparati rispetto ai bisogni specifici dei loro studenti. E qui non si tratta di far piacere la storia o insegnare le tabelline a qualcuno. Qui si toccano "note" molto più delicate. E se non si riescono a pigiare i tasti giusti si rischia di finire a suonare una melodia completamente stonata.