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Don Abbondio: descrizione e riassunto del personaggio de I Promessi Sposi

11 dicembre 2018

I Promessi Sposi: tutto ciò che c’è da sapere su Don Abbondio

I Promessi Sposi sono l’incubo di tanti studenti che devono fare i conti con compiti in classe, temi che mettono al centro l’analisi di ogni capitolo e interrogazioni a sorpresa sui vari personaggi che popolano il romanzo di Alessandro Manzoni tra cui Don Abbondio. Il curato fa la sua apparizione sin dal primo capitolo del romanzo che si apre con una descrizione del paesaggio per poi mettere al centro dell’inquadratura la figura di Don Abbondio impegnato nella sua passeggiata di ritorno verso casa che sarà interrotta dall’irrompere sulla scena dei Bravi, gli scagnozzi inviati da Don Rodrigo per costringere il prete a non celebrare il matrimonio tra Renzo e Lucia. È indubbio che Don Abbondio sia un uomo pauroso e remissivo ma ridurre l’analisi della sua figura a due sole caratteristiche significherebbe non rendere giustizia a uno dei personaggi più popolari e discussi dell’opera del Manzoni e per non farvi trovare impreparati correndo così il rischio di guadagnare un brutto voto, noi di Scuola Zoo abbiamo scavato nella storia del curato più famoso della letteratura per capire meglio la psicologia e le peculiarità di uno dei migliori ambasciatori dell’ironia manzoniana.

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Don Abbondio Riassunto: la sua storia ne I Promessi Sposi

Don Abbondio è il primo personaggio a entrare in scena nel romanzo I Promessi Sposi e sin dai suoi primi gesti quella che emerge è l’immagine di un uomo tranquillo, abitudinario, impegnato nella consueta passeggiata di ritorno verso casa “guardando a terra, e buttando con un piede verso il muro i ciottoli che facevano inciampo nel sentiero”. Durante il tragitto il curato, di bassa statura e dalla costituzione corpulenta, viene fermato dai Bravi, gli scagnozzi inviati da Don Rodrigo, che gli intimano di non celebrare il matrimonio tra Renzo Tramaglino e Lucia Mondella e di non riferire a nessuno del loro incontro se non vuole correre il rischio di pentirsene amaramente. Don Abbondio accetta le richieste dei due uomini e lo scambio di battute tra il prete e i due scagnozzi del potente signorotto locale ci permette d’iniziare a definire meglio il carattere del curato dall’animo pauroso e pavido, non certo nato con un cuor di leone come scrive il Manzoni paragonandolo a un “vaso di terra cotta, costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro”. La mancanza di coraggio e la codardia dimostrata da Don Abbondio che preferisce ubbidire al volere di Don Rodrigo (che parla per bocca dei Bravi) invece di difendere l’amore e il matrimonio dei giovani Renzo e Lucia, si scopre ben presto essere anche all’origine della scelta che l’ha portato a vestire la tonaca. Don Abbondio non ha dedicato a Dio la sua vita in nome della fede e degli alti valori religiosi, l’abito talare ha rappresentato per lui solo la possibilità di sfuggire dalle difficoltà della vita e assicurarsi un lavoro non troppo faticoso entrando a far parte di una classe sociale agiata che gli avrebbe sempre assicurato una buona protezione davanti alle ingiustizie e alle violenze della vita soprattutto in tempi come quelli narrati dal Manzoni in cui “La forza legale non proteggeva in alcun conto l’uomo tranquillo, inoffensivo, e che non avesse altri mezzi di far paura altrui”.

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Riassunto Don Abbondio: il no al matrimonio di Renzo e Lucia

Dopo l’incontro con i Bravi il prete rientra a casa e qui incontra la Perpetua, una donna pettegola ma sinceramente preoccupata per il curato che dopo un po’ d’insistenza da parte della serva vuota il sacco raccontandole quel che gli è accaduto e imponendole il silenzio prima di ritirarsi nelle sue stanze dove trascorre una notte agitata pensando al suo incontro con Renzo. Nel capitolo II, dopo aver scartato l’ipotesi di un qualsiasi tipo di gesto eroico e l’idea di fuggire, Don Abbondio riceve Renzo e cerca in ogni modo di convincere il giovane a rinunciare all’idea di sposare Lucia usando prima motivazioni legate alla sua salute, che non gli permetterebbero di celebrare il matrimonio, e poi ragioni di carattere burocratico. Infine il curato ricorre a un abbondante uso del latino come arma di distrazione e sinonimo di un più alto potere culturale su Renzo che irritato dall’atteggiamento del curato gli risponde: “Che vuol ch'io faccia del suo latinorum?”. Se in un primo momento Renzo cede all’idea di attendere una settimana in più per celebrare il suo matrimonio con Lucia ben presto, complice la Perpetua, scopre che dietro la reticenza di Don Abbondio si nasconde la minaccia di Don Rodrigo.

La storia di Don Abbondio: dal capitolo VIII alla fine del romanzo

A questo punto saltiamo al capitolo VIII, dove ritroviamo Renzo e Lucia che cercano di trarre in inganno Don Abbondio con il “matrimonio a sorpresa” ma il prete, fiutato l’inganno, riesce a impedire che il piano venga portato a compimento mentre nel capitolo XXIII, richiamato al suo dovere dal cardinale Borromeo, Don Abbondio è incaricato di liberare Lucia tenuta prigioniera nel castello di un altro importante personaggio del romanzo: l’Innominato. In seguito con l’arrivo dei Lanzichenecchi, sarà proprio nel castello dell’Innominato che Don Abbondio troverà rifugio con Agnese (madre di Lucia) e la Perpetua e nemmeno l’aver vissuto sulla sua pelle il dramma della peste lo convincerà a cambiare il suo atteggiamento e a diventare più sensibile e altruista nei confronti del prossimo tanto che si decide a sposare Renzo e Lucia solo quando giunge la notizia ufficiale della morte di Don Rodrigo che lo rassicura poiché, morto il signorotto, per lui non esiste più alcun pericolo.

Don Abbondio descrizione: caratteristiche e carattere del personaggio

Il personaggio di Don Abbondio è il simbolo di quella parte della Chiesa perduta, un uomo che sceglie l’abito talare non per vocazione ma per assicurarsi una posizione all’interno di una classe sociale importante che gli avrebbe assicurato un lavoro tranquillo e poco faticoso per il resto della vita e così lo descrive il Manzoni: “Il nostro Abbondio, non nobile, non ricco, coraggioso ancor meno, s'era dunque accorto, prima quasi di toccar gli anni della discrezione, d'essere, in quella società, come un vaso di terra cotta, costretto a viaggiar in compagnia di molti vasi di ferro”. Il curato ha un carattere debole di cui è facile approfittare, ama tenersi fuori da ogni tipo di contrasto e tende a sfogare le sue amarezze proprio su coloro da cui non ha nulla da temere e che dovrebbe invece proteggere in virtù dei valori della tonaca che indossa. La descrizione che Manzoni fa di Don Abbondio è di un uomo di circa sessant’anni con “Due folte ciocche di capelli, (…), due folti sopraccigli, due folti baffi, un folto pizzo, tutti canuti, e sparsi su quella faccia bruna e rugosa, potevano assomigliarsi a cespugli coperti di neve, sporgenti da un dirupo, al chiaro di luna”, incapace di rispondere con coraggio alla violenza della società in cui vive, preferisce attuare un suo personale sistema che “consisteva principalmente nello scansar tutti i contrasti, e nel cedere, in quelli che non poteva scansare. Neutralità disarmata in tutte le guerre che scoppiavano intorno a lui, dalle contese, allora frequentissime, tra il clero e le podestà laiche, tra il militare e il civile, tra nobili e nobili, fino alle questioni tra due contadini, nate da una parola, e decise coi pugni, o con le coltellate”. Questa tendenza a evitare qualsiasi tipo di ostilità soprattutto da parte dei potenti si traduce in un atteggiamento di ubbidienza dettato dal timore di ritorsioni che l’autore spiega con chiarezza sin dal primo capitolo: “Se si trovava assolutamente costretto a prender parte tra due contendenti, stava col più forte, sempre però alla retroguardia, e procurando di far vedere all’altro ch’egli non gli era volontariamente nemico: pareva che gli dicesse: ma perché non avete saputo esser voi il più forte? ch’io mi sarei messo dalla vostra parte”. Nonostante la figura di Don Abbondio sia controversa poiché siamo davanti a un uomo debole con i prepotenti e prepotente con i deboli, il curato è colui che più di altri subisce l’ironia dell’autore capace di renderlo protagonista di momenti in cui tragedia e commedia si mescolano rivelando al lettore ogni più piccola sfumatura della psicologia di un personaggio fondamentale.

I Promessi Sposi, l’analisi psicologica di Don Abbondio: le differenze con Fra Cristoforo

Nell’opera I Promessi Sposi, Alessandro Manzoni ci svela fin dalle prime pagine il personaggio di Don Abbondio descrivendolo come un uomo pavido, prepotente con i deboli e ossequioso nei confronti dei potenti. Nel corso del romanzo, l’antitesi del curato si presenta al lettore nelle vesti di Fra Cristoforo che al contrario di Don Abbondio è un religioso dalla vera vocazione, umile e al servizio dei più deboli della società. Il confronto tra le due figure ci aiuta a tracciare un ritratto psicologico di Don Abbondio più chiaro e completo che spiega le sfaccettature di un personaggio a metà tra dramma e farsa, ecco quali sono le differenze tra il curato più famoso della letteratura e Fra Cristoforo:

  • Don Abbondio: ha deciso di vestire l’abito talare non spinto da una vera vocazione ma perché attratto dai privilegi di una tra le più importanti caste della società. Per Don Abbondio diventare prete significa fuggire dalle responsabilità, assicurarsi un’esistenza tranquilla e sicura poiché lui non è altro che “vaso di terra cotta, costretto a viaggiar in compagnia di molti vasi di ferro”. Il curato è un uomo abitudinario, fragile che teme di essere schiacciato dalla forza dei potenti e per evitare qualsiasi tipo di ostilità preferisce mostrarsi neutrale o, se costretto a prendere posizione, ubbidiente nei confronti dei forti che lo portano ad ingoiare bocconi amari e generano quell'amarezza sfogata su coloro da cui non avrebbe nulla da temere e che anzi dovrebbe proteggere in nome della missione cristiana cui ogni religioso è chiamato a rispondere. Simbolo di una Chiesa corrotta, Don Abbondio è un vile e a tratti persino crudele come dimostra il passaggio del romanzo in cui parla della peste quasi fosse una benedizione perché ha messo fine alla vita del suo peggior incubo, Don Rodrigo: “È stata un gran flagello questa peste; ma è anche stata una scopa; ha spazzato via certi soggetti, che, figliuoli miei, non ce ne liberavamo più”. Mentre sul finire del romanzo ogni personaggio ha subito un qualche tipo di evoluzione che ne ha migliorato il carattere, Don Abbondio, nonostante abbia vissuto sulla sua pelle il dramma della pestilenza, resta sempre uguale a se stesso e fino all’ultimo momento mostra la sua vigliaccheria decidendo di non voler sposare Renzo e Lucia per poi cambiare idea e mostrarsi allegro e disponibile non appena giunge la notizia ufficiale della morte di Don Rodrigo che mette così fine alle sue angosce.
  • Fra Cristoforo: Fra Cristoforo, a differenza di Don Abbondio, è il simbolo degli alti valori della cristianità come devozione, amore, sacrificio e carità, e lo dimostra prestando attenzione agli ultimi cui dedica ogni sua energia. Prima di rispondere alla vocazione e diventare cappuccino, frate Cristoforo si chiamava Lodovico ed era rifugiato in un convento di Cappuccini dopo aver ucciso un nobile con cui si era battuto per futili motivi a duello e che aveva a sua volta ferito mortalmente Cristoforo, il servo di Lodovico, morto nel tentativo di proteggere il suo padrone. Sarà in onore della memoria del fedele servitore che Lodovico deciderà di cambiare nome in Cristoforo una volta diventato frate e in nome della fiducia nella Provvidenza cercherà in tutti i modi di aiutare i due promessi sposi affrontando prima Don Rodrigo e in seguito suggerendo ai due giovani di lasciare il loro paese indirizzando Renzo a Milano e Lucia, con sua madre Agnese, a Monza presso il convento dove vive Gertrude (meglio conosciuta come la monaca di Monza). Manzoni descrive Fra Cristoforo come un uomo in bilico tra orgoglio e umiltà, fra il ricordo di chi è stato e di chi ha scelto di essere, di animo onesto e generoso ma anche impulsivo, animato dall’amore e dalla difesa dei deboli complice un forte senso di giustizia che gli impone di non ricorre alla violenza ma alla forza della fede e della Provvidenza. Se Don Abbondio rappresenta la comodità dei privilegi e la codardia, al contrario Fra Cristoforo è il simbolo di quel senso di sacrificio e dignità che si traduce in un modello positivo di figura religiosa pur trattandosi di un uomo che porta sulla spalle il peso di un passato da peccatore. Per spiegarci la personalità  del personaggio di Fra Cristoforo, in equilibrio tra placidità e forza, l’autore ricorre anche a una dettagliata descrizione fisica e non solo caratteriale: “Il padre Cristoforo era un uomo più vicino ai sessanta che ai cinquant'anni. Il suo capo raso, salvo la piccola corona di capelli, che vi girava intorno, secondo il rito cappuccinesco, s'alzava di tempo in tempo, con un movimento che lasciava trasparire un non so che d'altero e d'inquieto; e subito s'abbassava, per riflessione d'umiltà. La barba bianca e lunga, che gli copriva le guance e il mento, faceva ancor più risaltare le forme rilevate della parte superiore del volto, alle quali un'astinenza, già da gran pezzo abituale, aveva assai più aggiunto di gravità che tolto d'espressione. Due occhi incavati eran per lo più chinati a terra, ma talvolta sfolgoravano, con vivacità repentina; come due cavalli bizzarri, condotti a mano da un cocchiere, col quale sanno, per esperienza, che non si può vincerla, pure fanno, di tempo in tempo, qualche sgambetto, che scontan subito, con una buona tirata di morso”.

Promessi Sposi: tutti i riassunti dei capitoli con Don Abbondio

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