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Tema su Don Abbondio: traccia svolta su I Promessi Sposi

2 gennaio 2020

Tema su Don Abbondio dei Promossi Sposi: la traccia

Don Abbondio è certamente una delle figure più famose e controverse che Manzoni, nei Promossi Sposi, abbia partorito: rappresentante fedelissimo di una grossa fetta della società (non solo di allora, ma anche odierna), la sua figura viene spessissimo analizzata dai professori a lezione, i quali vi chiederanno sicuramente un riassunto o un tema svolto su questo personaggio. E cosa ci stiamo a fare noi qui? Eccovi la nostra proposta di analisi del personaggio. Qui trovate temi su tutti i personaggi dei Promossi Sposi: prima-prova-maturità-2018-traccia-promessi-sposi-alessandro-manzoni (1)

Chi è Don Abbondio: introduzione per un tema sui Promossi Sposi

Don Abbondio è uno dei personaggi principali dei Promessi Sposi, il primo che il lettore incontra dopo l’introduzione al libro fatta dallo scrittore: egli è il prete incaricato di sposare i due giovani protagonisti, ma proprio ad inizio racconto, durante una delle sue consuete passeggiate, incontra i due bravi di Don Rodrigo, i quali gli intimano con velate minacce di non celebrare il matrimonio tra i due giovani. Egli subito si presenta per quel che è: un uomo schivo, pigro ma soprattutto fortemente codardo ed ignavo. Per approfondire:

Svolgimento su Don Abbondio: approfondimento su carattere e comportamento del personaggio

Dimostra, infatti, tutto ciò scaricando le responsabilità di tale scelta su Renzo e Lucia ed alla fine acconsentendo alla volontà dei bravi, pieno di paura. Emerge quindi la classica figura vittima del tempo in cui vive, presentato magistralmente dal Manzoni come «un vaso di terracotta costretto a viaggiare in mezzo a vasi di ferro», quindi una figura non negativa dal punto di vista dell’animo e dei propositi, ma intrinsecamente debole se comparata a quelle che ha attorno e soprattutto alle condizioni di vita del suo tempo. Insomma, è un classico antieroe. A quanto pare, inoltre, la pigrizia e la mancanza di aspirazioni sono un altro caposaldo della figura di don Abbondio, che pare non fosse prete per vocazione, quanto per scelta genitoriale e per sicurezza economica: una persona quindi anche velatamente insoddisfatta della vita che ha condotto e conduce, e quindi psicologicamente frustrata. Si dimostra inoltre fintamente erudito, facendo riferimenti latini casuali e spesso inesatti (o del tutto inventati, come quando cerca di distogliere Renzo dal matrimonio usando termini a caso), o ancora nella celeberrima frase «Carneade, chi era costui?» in cui dimostra la sua superficiale preparazione letteraria. Dopo l’evento coi bravi, don Abbondio mostra tutta la sua ignavia e mancanza di coraggio perdendo il lume della ragione verso ciò che era di suo dovere, cedendo alle minacce e rispettando il veto di don Rodrigo: i due giovani non faranno in tempo neppure a prenderlo con l’inganno, che il parroco scapperà via in preda al timore di poter essere ucciso in caso adempiesse ai suoi doveri. Sarà solo il cardinal Borromeo a costringerlo letteralmente (quindi sempre sotto l’obbligo di un’altra potente figura, stavolta però giusta) a condurre Lucia dalla madre recuperandola dall’Innominato, compiendo tale atto in preda ad un’enorme paura. Da uomo dubbioso e poco fiducioso, dubita della conversione e della figura dell’Innominato, dimostrando una psicologia protezionista e poco propensa al cambiamento, al miglioramento. Proprio per tale motivo, neppure un evento così profondo come la peste, che incide sulla vita e sul modo di essere di tutti i sopravvissuti, cambia il modo di agire di don Abbondio, il quale rappresenta innegabilmente la figura più conservatrice e rappresentativa della condizione sociale dell’epoca: solo quando ogni impedimento sarà tolto, solo quando sarà più che certo che don Rodrigo abbia esalato l’ultimo respiro, si presterà a svolgere le sue mansioni, non credendo fino all’ultimo alla morte del potente cattivo (esempio di persona pavida fino all’ultimo).

Conclusione tema su Don Abbondio

Interessante, per chiudere, è la lettura che fa Sciascia di don Abbondio: «don Abbondio è forte, è il più forte di tutti, è colui che effettualmente vince, è colui per il quale veramente il “lieto fine” del romanzo è un “lieto fine”. Il suo sistema è un sistema di servitù volontaria: non semplicemente accettato, ma scelto e perseguito da una posizione di forza, da una posizione di indipendenza, qual era quella di un prete nella Lombardia spagnola del secolo XVII. Un sistema perfetto, tetragono, inattaccabile. Tutto vi si spezza contro. L’uomo del Guicciardini, l’uomo del “particulare” contro cui tuonò il De Sanctis, perviene con don Abbondio alla sua miserevole ma duratura apoteosi. Ed è dietro questa sua apoteosi, in funzione della sua apoteosi, che Manzoni delinea – accorato, ansioso, ammonitore – un disperato ritratto delle cose d’Italia: l’Italia delle grida, l’Italia dei padri provinciali e dei conte-zio, l’Italia dei Ferrer italiani dal doppio linguaggio, l’Italia della mafia, degli azzeccagarbugli, degli sbirri che portan rispetto ai prepotenti, delle coscienze che facilmente si acquietano…». Egli lo considera dunque il vero vincitore del romanzo, colui che ha sempre garantito la sua sopravvivenza e che non muta dinnanzi a tutti gli eventi e le difficoltà che gli si parano davanti, grazie al suo atteggiamento remissivo e falsamente accomodante nei confronti di chi gli si sovrappone per forza ed importanza ed invece spavaldo e falsamente erudito nei confronti dei più umili. Egli sarebbe quindi definibile come una figura non negativa nell’ambito della storia (egli prova un sincero affetto per i giovani protagonisti), ma che diventa tale nel momento in cui il suo egoismo ed il suo “istinto di sopravvivenza” prendono il sopravvento su ciò che è giusto ed andrebbe fatto. (Foto Credits: Francesco Gonin copertina/ Pixabay interna)
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